«Se non hanno più pane, che mangino brioche»
Il governo Meloni alle prese con Reddito di cittadinanza, Superbonus e assalto al Pnrr
di Giacomo Biancofiore
Il capitalismo genera mostri e talvolta se ne libera con mostri ancora più mostruosi. Nel mese appena trascorso il governo Meloni, messo alle corde dalla tragedia che si è consumata lungo la costa calabrese di Cutro che ha provocato 70 vittime, ha dato sfoggio a tutta la creatività per porre rimedio a quelle che la stessa Meloni ha definito «situazioni fuori controllo».
Il lavoro a un nuovo pacchetto di norme per gestire il flusso migranti, infatti, si colloca tra il decreto legge numero 11 del 16 febbraio 2023 con cui il governo ha bloccato la cessione del credito e lo sconto in fattura per tutti i nuovi interventi edilizi e quello sulla trasformazione del Reddito di cittadinanza.
Se quello che c’era era pessimo, le novità lo sono ancora di più, esattamente come i mostri del capitalismo.
Il superbonus e l’edilizia
«Basta con una politica scellerata» ideata per «creare consenso politico», il ministro dell'Economia Giorgetti ha festeggiato così il decreto che mette fine a cessione del credito o sconto in fattura per i cantieri del bonus 110%, del bonus ristrutturazioni, facciate, sismabonus e altri lavori edili di riqualificazione energetica.
Le reazioni non si sono fatte attendere: «Hanno deciso di mandare sul lastrico l'edilizia», ha tuonato l’opposizione, «Per le imprese c’è il rischio di un tracollo» ha dichiarato l’associazione dei costruttori Ance, mentre le Regioni preoccupate hanno chiesto un tavolo con il governo.
Certamente la misura studiata dal governo Draghi ha rappresentato un regalo di straordinaria entità alla borghesia, tra costruttori che si sono arricchiti gonfiando i costi di materiali spesso scadenti e ricchi proprietari di palazzi e ville che hanno valorizzato interi patrimoni immobiliari. I proletari hanno incontrato enormi difficoltà ad accedere ai bonus i cui fondi, beffardamente derivano dalle imposte. In sostanza i poveri hanno ristrutturato e valorizzato ulteriormente i patrimoni immobiliari dei ricchi.
Eppure una misura accessibile alle masse proletarie per ristrutturare case spesso vecchie, non adeguate alla legislazione antisismica vigente e comunque ad alto impatto per quanto concerne il consumo energetico, sarebbe stata necessaria; il taglio netto del governo Meloni, invece, mostra tutto il disinteresse per la sicurezza dei territori e di chi li abita oltre che per le centinaia di migliaia di nuovi disoccupati che il decreto Giorgetti porterà come riporta lo stesso Sole 24 Ore.
Dal sussidio di povertà alla povertà senza sussidio
L’attacco più cruento del governo Meloni è stato minacciato, sin dall’insediamento, al Reddito di cittadinanza (Rdc).
La pressione degli industriali sin dalla campagna elettorale ha fatto in modo che il governo provvedesse il prima possibile al ridimensionamento dello strumento che, dati alla mano, lungi dal rappresentare realmente quell’esborso straordinario paventato dalle destre (vista soprattutto l’esiguità delle somme elargite), raccoglie una grande ostilità padronale prettamente per ragioni ideologiche neoliberiste.
Il reddito di cittadinanza, fortemente voluto dal Movimento 5 stelle, riuscì nell’intento di far passare i grillini come punto di riferimento delle classi popolari, un’operazione che portò a capitalizzare elettoralmente le molte speranze del proletariato soprattutto meridionale. Per alcuni anni si è rivelato utile ai governi per congelare gran parte del malcontento sociale nel Paese. In realtà il Rdc non è stato altro che un sussidio di povertà, un’elemosina insufficiente a sopperire persino alle più elementari esigenze dell’abitare, del nutrirsi e del vestirsi e come tale è stato usato, modificato e seppellito tenendo conto esclusivamente delle direttive dell’Ue e di Confindustria per rendere i rapporti di lavoro sempre meno stabili e fortemente precari.
Fatto sta che dal primo settembre 2023 il reddito e la pensione di cittadinanza andranno in soffitta e saranno sostituiti dalla «Mia» (Misura per l’inclusione attiva).
Rispetto al Reddito di cittadinanza il nuovo sussidio riduce il beneficio per gli ultra 67enni attuali percettori della Pensione di cittadinanza e per le famiglie con figli aventi diritto all’assegno unico. Si riducono anche le platee degli aventi diritto con la soglia ISEE dagli attuali 9.360 € vigenti per il Rdc a 7.200 €
Stando alle parole del governo, l’obiettivo sarebbe quello di spostare il perno dalla sfera assistenzialista alla funzione di supporto alle politiche attive del lavoro, aiutando quindi i disoccupati a trovare un impiego, ma in effetti, sempre a parole, questo strumento esiste già e risponde al nome di Gol, Garanzia Occupazione Lavoro.
Gol e Pnrr
La Gol è stata lanciata nell’ambito del Pnrr dal quale sono stati messi a disposizione 4,4 miliardi di euro da spendere entro la fine del 2025, col fine proclamato di potenziare le strutture come i Centri per l’impiego e per favorire il reinserimento nel mondo del lavoro dei disoccupati. Sono stati inseriti in questo programma oltre 800mila italiani, ma di questi solo 195 mila sono percettori del Reddito di cittadinanza, mentre gli altri 632mila sono ad esempio beneficiari dell’indennità mensile di disoccupazione (Naspi) o dell’indennità di disoccupazione per i lavoratori con rapporto di collaborazione coordinata e continuativa (Dis-coll).
Secondo l’Agenzia nazionale delle politiche attive per il lavoro (Anpal), tra chi sta partecipando ai programmi della Gol da più di 90 giorni, tre persone su quattro (77%) non hanno ancora trovato lavoro, una piccola parte, pari al 6%, era invece già occupata, ma guadagnando molto poco è stata inserita comunque in questi programmi. Resta solo un 17% che è riuscito a trovare un lavoro. Se si restringe il campo a chi percepisce il Reddito di cittadinanza ed è intanto già inserito nei programmi Gol, si nota come la stragrande maggioranza non risulta essere immediatamente occupabile: il 24% ha bisogno di aggiornamento professionale e il 54% necessita di un lungo percorso di riqualificazione.
Dal Reddito al «Mia»
Saranno due le categorie che potranno ricevere la Misura di inclusione attiva: le famiglie in difficoltà economica senza persone occupabili - ovvero quelle in cui c’è un minorenne, un over 60 o una persona disabile - e quelle che comprendono invece soggetti occupabili, ossia hanno al loro interno almeno un componente fra i 18 e i 60 anni di età.
Gli occupabili che ora percepiscono in Reddito di cittadinanza potranno presentare domanda per la Mia, ma per loro l’agevolazione sarà inferiore sia come importo che come durata rispetto a quella ricevuta dalle famiglie senza soggetti occupabili.
Dalle prime notizie l’assegno scenderà a 375 euro e la misura non potrà durare più di un anno. Dopo la seconda domanda la scadenza scenderà a sei mesi e una eventuale terza domanda si potrà avanzare solo dopo una pausa di un anno e mezzo.
I nuclei familiari senza occupabili, invece, saranno indirizzati ai Comuni per i percorsi di inclusione sociale mentre gli altri verranno avviati ai centri per l’impiego dove, come condizione per ottenere la Mia, dovranno sottoscrivere un patto personalizzato.
Sfruttare di più gli sfruttati
Nella nuova versione del sussidio il diritto alla prestazione è strettamente legato all’obbligo di accettare qualsiasi offerta di lavoro, un ulteriore passo avanti per i padroni a spingere i settori più poveri ad accettare lavori sottopagati e privi dei diritti anche più elementari.
Di fronte a questo ennesimo accanimento contro le fasce più povere occorre sollecitare una risposta forte dei proletari, una rinnovata unità di classe necessaria a costruire un primo vero sciopero generale nazionale dopo tanti anni di silenzio.
Chi vuole farci credere che un governo dei lavoratori, che spazzi nella pattumiera della storia quelli di industriali e banchieri, sia solo un’utopia ha il solo scopo di scoraggiare la risposta operaia agli attacchi del padronato.