La storia nascosta del sionismo di Ralph Schoenman
Scheda di lettura a cura di Daniele Cofani
Anticipiamo qui una recensione che verrà pubblicata sul numero 24 (in uscita) della rivista teorica Trotskismo oggi. Per acquistare o presentare nella vostra città il libro potete contattare la casa editrice (Associazione Rjazanov) a questo indirizzo e-mail: associazione.rjazanov@gmail.
Nel numero 23 di Trotskismo oggi , nell’articolo «Palestina libera dal fiume Giordano al mare», abbiamo cercato di dare un contributo alla questione palestinese non solo dal punto di vista storico e sociale, ma anche dal punto di vista politico, proponendo alle avanguardie della Resistenza di questo eroico popolo - che da decenni sta lottando per la propria indipendenza e autodeterminazione dallo Stato fantoccio d’Israele - un programma politico rivoluzionario, strumento indispensabile per liberare per sempre la Palestina dal sionismo e da tutti i suoi crimini.
In questo numero della rivista approfondiremo proprio il tema del sionismo, per comprendere al meglio la storia, la natura e i reali obiettivi di questa organizzazione genocida e criminale. Per fare questo abbiamo preso come riferimento un importante libro, La storia nascosta del sionismo, scritto da Ralph Schoenman e recentemente pubblicato per la prima volta in italiano dall’Associazione Rjazanov, con l’importate collaborazione del Movimento degli studenti palestinesi in Italia – da mesi in prima linea nelle mobilitazioni qui in Italia a sostegno della Resistenza palestinese – con la prefazione scritta da Karim Farsakh, uno dei principali attivisti del Movimento.
L’autore del libro, Ralph Schoenman, scomparso recentemente il 30 settembre del 2023, è stato una delle figure di spicco della sinistra marxista statunitense. Nato nel 1935 da una famiglia di origine ebraica, nel 1958 si recò in Gran Bretagna, dove si formò in economia. Ha lavorato con il filosofo liberale e pacifista Bertrand Russel, ha partecipato ad attività contro le armi nucleari ed è stato accusato di attività antiamericane per aver denunciato i crimini statunitensi in Indocina; fu anche accusato di antisemitismo per aver denunciato i legami del sionismo con il nazismo. Gli fu ritirato il passaporto americano dopo aver visitato il Vietnam del Nord e, a causa di pressioni del governo statunitense, fu imprigionato in diversi Paesi. La sua opera La storia nascosta del sionismo è un serio lavoro di ricerca, reso ancora più rilevante dal fatto che è stato scritto proprio da un ebreo: ne consigliamo la lettura a chiunque voglia conoscere il vero volto sionismo.
Come abbiamo raccontato nel nostro precedente articolo, il movimento sionista si era attivato già molto prima dell’inizio della guerra arabo-israeliana (1948-49) e della Nakba (1948: la catastrofe per i palestinesi) per impossessarsi con la forza dei territori della Palestina storica, fino al quel momento abitati da una stragrande maggioranza arabo-palestinese in piena armonia con le minoranze ebraiche e cristiane: le varie comunità erano per lo più composte da contadini poveri e sofferenti, che subivano l'oppressione del colonialismo britannico e non avevano problemi tra loro.
Va però evidenziata una differenza di integrazione tra gli ebrei autoctoni della regione (sefarditi), che erano completamente integrati, e gli ebrei europei (ashkenaziti) che erano stati introdotti dal sionismo (in accordo con l'imperialismo britannico fin dalla Dichiarazione Balfour) e che, fin dal principio, agivano da coloni armati che contendevano la terra ai palestinesi ogni volta che ne avevano la possibilità.
Sionismo e imperialismo
Il sionismo, rifiutando totalmente qualsiasi prospettiva rivoluzionaria per risolvere la questione ebraica, vedeva come unica soluzione per porre fine alle discriminazioni quella di avere un proprio territorio nel quale riunire tutti gli ebrei del mondo. Ma le sue proposte rimasero per molti anni in minoranza in quanto la maggioranza degli ebrei voleva assimilarsi nei propri Paesi di origine.
La situazione del sionismo cambiò durante e dopo l'Olocausto nazista, con il rifiuto dei Paesi europei di accogliere il gran numero di uomini e donne che tornavano dai campi di concentramento con profonde ferite fisiche e psicologiche.
Fu così che, per risolvere la «questione ebraica» nei loro Paesi, i governi imperialisti arrivarono a sostenere la proposta sionista di «una terra senza popolo per un popolo senza terra», con la quale puntavano a cancellare la presenza, la storia e le tradizioni di un altro popolo, nello specifico i palestinesi.
Per raggiungere tali obiettivi, i sionisti collaborarono con tutti gli imperialismi (compreso quello tedesco/nazista) che, a loro volta, usarono il sionismo come strumento per difendere i loro interessi coloniali: ciò riguardò inizialmente gli inglesi e infine gli statunitensi che, ancora oggi, li armano fino ai denti per garantire che Israele continui a essere la loro base militare nella regione.
È chiaro, quindi, che la creazione e il riconoscimento di Israele sono sempre stati una questione politica, mai religiosa (legata alla «Terra Santa»), anche se questo continua a essere l'argomento privilegiato dei sionisti per guadagnare consenso: in un congresso sionista fu suggerito che il territorio da rivendicare potesse trovarsi nella Patagonia argentina, non solo quindi in Palestina.
I quattro miti del sionismo
Nel primo capitolo, su cui ci vogliamo soffermarci maggiormente, Schoenman evidenzia quelli che lui definisce i quattro falsi miti del sionismo, che sono poi la base su cui poggia la propaganda del sionismo stesso, nel tentativo di giustificare – o meglio, occultare – ogni suo crimine; miti che possiamo definire delle vere e proprie falsificazioni.
Non è un caso che tali falsificazioni vengano sistematicamente poste al centro di ogni dibattito sulla cosiddetta «questione palestinese», imponendo quattro argomenti ripetuti come cantilene. Il primo riguarda la falsificazione sulle origini di Israele; il secondo riguarda la fantomatica democrazia dello Stato fantoccio di Israele «unico Stato democratico del Medio oriente»; il terzo tocca il tema della sicurezza e il «diritto di Israele di difendersi»; il quarto pone il sionismo come erede morale delle vittime dell'Olocausto, accusando di «antisemitismo» chiunque non riconosca il «diritto di Israele di esistere».
Proviamo ad analizzare queste quattro falsificazioni che lo storico (ebreo antisionista) Ralph Schoenman ha definito «quattro falsi miti».
1) Una terra senza un popolo per un popolo senza terra.
Con tale affermazione, il movimento sionista (nato a fine Ottocento) ha da sempre puntato a cancellare la storia del popolo palestinese – che da secoli viveva sulla propria terra, la Palestina – con l’obiettivo di espellere i palestinesi e rubare loro la terra e le case.
Questo fu ben chiaro già all’indomani della risoluzione 181 dell’Onu (1947) con cui, con anche il voto dell’Urss di Stalin (che finanziò e armò i sionisti), venne sancita la spartizione della Palestina, assegnando il 56% agli ebrei che fino a quel momento ne abitavano solo il 5%. Spartizione che non bastò al sionismo, capeggiato da Ben Gurion, che diede l’ordine di mettere in atto il piano Dalet e dare il via alla Nakba, ossia alla pulizia etnica dei palestinesi, proclamando lo Stato genocida di Israele il 15 maggio del 1948 e scippando un ulteriore 22% di territorio attribuito ai palestinesi.
Ci vollero circa 6 mesi per portare a termine questo piano che vide l’espulsione violenta di 800.000 mila palestinesi dalle proprie case – su circa 1.300.000 residenti in Palestina – e la distruzione di oltre 500 villaggi, nonché l’inizio del primo conflitto arabo-israeliano tra i Paesi arabi confinanti e Israele. Questo avvenne tramite l’opera criminale di organizzazioni terroristiche sioniste come l'Haganah, l’Irgun e la Banda Stern che commisero atroci violenze e crimini pur di avanzare con il progetto coloniale sionista, per essere poi assorbite (Haganah) direttamente dall’esercito ufficiale israeliano (Idf).
Questa fu solo la prima fase della Nakba e l’inizio della pulizia etnica del popolo palestinese, a cui seguirono ulteriori guerre di sterminio e conquista, come la guerra dei sei giorni (1967), dove furono conquistate con la violenza la Striscia di Gaza, la Cisgiordania e Gerusalemme est, fino all’occupazione della penisola del Sinai e delle alture del Golan.
Altro che «una terra senza un popolo per un popolo senza terra»! Il popolo c’era eccome in Palestina ed è quello arabo-palestinese, che la abitava da secoli in netta maggioranza e in armonia con le altre comunità religiose minoritarie. Lo Stato criminale di Israele è nato sulla menzogna e sul sangue dei palestinesi che ancora oggi resistono contro il progetto coloniale sionista, che non punta a sfruttare i palestinesi oppressi, ma ha l’obiettivo primario di eliminarli totalmente per impossessarsi della propria terra. Oggi sono circa 6 milioni i palestinesi vittime della diaspora, che vivono come profughi (prevalentemente nei Paesi arabi confinanti) e a cui sono state rubate le terre e le case dagli ebrei sionisti e dai coloni che vivono da privilegiati da decenni in un regime di apartheid.
2) La democrazia israeliana.
Innumerevoli notizie e riferimenti allo Stato di Israele, riportati dai media mainstream, fanno continuamente riferimento all'unica «vera» democrazia presente in Medio Oriente che, secondo loro, sarebbe appunto quella di Israele. In realtà mentono sapendo di mentire e, come bene dice Schoenman, «lo Stato di Israele è democratico quanto il Sudafrica dell'apartheid».
Chi sostiene tale falsificazione, omette di dire che quello di Israele è uno Stato che si proclama ebraico basandosi su oltre 60 leggi razziali, in cui libertà civili, procedure giudiziarie e i diritti umani fondamentali vengono negati a chi non soddisfa determinati requisiti etnici, razziali e religiosi, rendendo la vita impossibile ai non ebrei e soprattutto agli arabi: è nei fatti uno Stato confessionale, teocratico e integralista al pari dei regimi islamici che l’imperialismo considera come unico male assoluto, escludendo però Israele.
Le cose non sono assolutamente migliori nei cosiddetti «Territori occupati» (Striscia di Gaza e Cisgiordania), sui quali incombe la minaccia di questo sedicente «Stato democratico», che opprime con modalità bestiali i palestinesi: incarcerazioni sommarie, torture e stupri – di cui parla molto approfonditamente l’autore nei capitoli 10 e 11 («Il predominio della tortura» e «Le prigioni») – si aggiungono da sempre all'oppressione economica, al blocco della Striscia di Gaza, divenuta un lager a cielo aperto, periodicamente bombardata, privata di energia elettrica e persino dell'acqua e che oggi è sotto assedio in quella che definiamo una vera e propria pulizia etnica.
3) Il «diritto di difendersi» di Israele.
Come ricorda Schoenman, «i sionisti sostengono che il loro Stato deve essere la quarta maggiore potenza militare al mondo perché Israele è stato costretto a difendersi contro la minaccia imminente proveniente da masse arabe primitive e consumate dall’odio, scese solo recentemente dagli alberi». La questione della sicurezza è stato l'argomento utilizzato per coprire il sistematico massacro di popolazione civile in tutta la Palestina, in Libano e nel Medio oriente in generale, per confiscare terre palestinesi e arabe, per espandersi nei territori circostanti ed erigere nuovi insediamenti, per deportare e torturare sistematicamente i prigionieri politici.
A sostenere tale argomentazione non sono solo i rappresentanti della borghesia, ma anche i dirigenti della sinistra riformista di tutto il mondo: quando fingono di difendere i diritti dei palestinesi, si affrettano sempre a precisare che Israele «ha diritto di difendersi». Sono criminali al pari dei sionisti nel fingere di ignorare che Israele è un insediamento coloniale, costruito distruggendo città e villaggi secolari, sradicando centinaia di migliaia di palestinesi dalle proprie terre e case, palestinesi che hanno tutto il diritto di difendersi attraverso una resistenza armata. Infine, tali dirigenti non disconoscono Israele, in quanto considerano legittimi gli insediamenti riconosciuti dall’Onu nel 1947 (compresi quelli violentemente conquistati attraverso la prima fase della Nakba del 1948), mentre considerano come «occupazione» solo i «Territori Occupati» dopo la Guerra dei sei giorni (1967).
4) Il sionismo come erede morale delle vittime dell'Olocausto.
«Il quarto mito è quello del sionismo come erede morale delle vittime dell’Olocausto. Questo è allo stesso tempo il più pervasivo e insidioso dei miti riguardo il sionismo. Gli ideologi del movimento sionista si sono avvolti nel sudario collettivo di sei milioni di ebrei che sono caduti vittime dell’omicidio di massa nazista. L’amara e crudele ironia di questa falsa pretesa è che il movimento sionista stesso fu attivamente colluso col nazismo fin dal suo inizio». Sono queste le parole con cui Schoenman tocca senza dubbio una delle più grandi mistificazioni del sionismo, il quale utilizza poi tale falso mito per equiparare l’antisionismo all’antisemitismo.
Ma, come ben documenta Schoenman, la realtà storica ci racconta che i sionisti in varie occasioni si allearono e strinsero accordi economici, paradossalmente, con i nazisti e i fascisti. Giudicavano positivamente le persecuzioni antisemite in Europa, in quanto possibile stimolo all'emigrazione che poteva favorire il progetto sionista di colonizzazione della Palestina. Inoltre, Schoenman documenta come i sionisti furono complici silenti dello stesso Olocausto, rifiutandosi di sostenere gli ebrei che chiedevano supporto per organizzare una resistenza dentro e fuori i campi di sterminio di Hitler.
«Alla maggior parte delle persone appare anomalo che il movimento sionista, che evoca sempre l’orrore dell’Olocausto, abbia potuto collaborare attivamente con il nemico più feroce mai affrontato dagli ebrei. I fatti, tuttavia, rivelano non solo interessi comuni, ma una profonda affinità ideologica radicata nell’estremo sciovinismo che li accomuna». L'affinità ideologica tra sionismo e nazismo, di cui parla Schoenman, non ha a che fare solo con l’Olocausto, ma riguarda anche la condivisione tra i due movimenti della teoria della «purezza del sangue», definendosi uno «la razza pura», l'altro «il popolo eletto».
In tutto il suo lavoro, Schoenman fornisce prove della collaborazione del sionismo con il regime nazista, complice delle sofferenze del popolo ebraico, al fine di ottenere sostegno per la proposta di un proprio Stato: crediamo che questo sia senza dubbio un falso mito su cui mettere l’accento per far comprendere al meglio la natura criminale del sionismo. L'autore, nel sesto capitolo del libro («Il sionismo e gli ebrei») ricorda i legami che ci furono tra la federazione sionista tedesca con il partito nazista: «La Federazione sionista tedesca inviò un memorandum a sostegno del Partito nazista il 21 giugno 1933. In esso la Federazione scriveva: "...una rinascita della vita nazionale come quella che sta avvenendo nella vita tedesca (...) deve avvenire anche nel gruppo nazionale ebraico. Sulla fondazione del nuovo Stato (nazista) che ha stabilito il principio della razza, desideriamo quindi inserire la nostra comunità nella struttura totale così che anche noi, nella sfera a noi assegnata, sia possibile una fruttuosa attività per la Patria…”. Lungi dal ripudiare questa politica, il Congresso dell'Organizzazione sionista mondiale (Wzo) nel 1933 respinse una risoluzione che faceva appello all’azione contro Hitler con 240 voti contro 43».
Sempre nel 1933, l’Organizzazione sionista mondiale fece un accordo commerciale tra la Banca anglo-palestinese e lo Stato tedesco, rompendo il boicottaggio ebraico del regime nazista.
Come afferma Schoenman, l'ossessione di colonizzare la Palestina e di essere un numero maggiore e ben selezionato rispetto agli arabi, portò il movimento sionista a opporsi a qualsiasi salvataggio di ebrei minacciati di sterminio che non fossero una forza lavoro utile in Palestina: tra il 1933 e il 1935, l'Organizzazione sionista mondiale respinse due terzi degli ebrei tedeschi che chiedevano un certificato di immigrazione. In quel periodo l'Osm aveva incoraggiato un piano di emigrazione ebraica in Palestina sulla base della minaccia di sterminio. Ma c'erano ebrei tedeschi che erano troppo vecchi per procreare in Palestina, non avevano qualifiche professionali per costruire una colonia sionista, non parlavano ebraico e non erano sionisti. Al posto di questi ebrei minacciati di sterminio, l'Organizzazione sionista mondiale portò in Palestina seimila giovani sionisti dagli Stati Uniti e dalla Gran Bretagna e da altri Paesi dove non c'era alcuna minaccia.
Schoenman ricorda una dichiarazione di Ben-Gurion in occasione di un’assemblea dei sionisti laburisti in Gran Bretagna (1938): «Se avessi saputo che era possibile salvare tutti i bambini di Germania portandoli in Inghilterra, oppure solo la metà di loro portandoli in Ertz Israel, allora sceglierei la seconda alternativa».
Altra questione che l’autore è riuscito a documentare nel suo libro è quella che riguarda il tradimento da parte del sionismo della resistenza ebraica contro lo sterminio nei campi di concentramento. Sempre nel capitolo sei, riporta il contenuto di una lettera scritta nel luglio 1944 ai funzionari sionisti responsabili delle «organizzazioni di salvataggio» da parte di un dirigente ebraico slovacco, il rabbino Dov Michael Weissmandel, il quale propose una serie di misure per salvare gli ebrei condannati allo sterminio ad Auschwitz: «egli offrì delle mappe esatte delle ferrovie e sollecitò il bombardamento dei tracciati sui quali gli ebrei ungheresi venivano trasportati ai forni crematori. Fece appello al bombardamento delle fornaci di Auschwitz, a paracadutare munizioni a 80.000 prigionieri, a paracadutare sabotatori per far esplodere i mezzi di annichilimento e porre quindi fine alla cremazione di 13.000 ebrei ogni giorno».
Come ben spiega Schoenman, il rabbino slovacco proponeva, inoltre, nel caso in cui gli Alleati avessero rifiutato di agire, che fossero proprio i sionisti a organizzare l'assalto, considerando i fondi e l’organizzazione di cui disponeva il movimento sionista, reclutando volontari ebrei per eseguire il sabotaggio. Quella di Weissmandel non era l’unica voce dissidente. Molti portavoce degli ebrei in Europa chiedevano soccorsi, campagne pubbliche, resistenza organizzata, mobilitazioni per fare pressione sui governi Alleati, ma la risposta dei sionisti fu il totale silenzio. Alla fine, gli Alleati non bombardarono i forni, né tanto meno i sionisti fecero nulla.
Sono questi i sionisti che sostengono di essere gli eredi delle vittime dell'Olocausto del popolo ebraico: oggi più che mai possiamo affermare che il sionismo non è sinonimo di ebraismo, ma è piuttosto sinonimo di fascismo, con cui condivide l'ideologia razzista: non solo ha collaborato con i nazisti, ma ha incorporato i terribili metodi di sterminio usati per gli ebrei, ora applicati contro la popolazione araba palestinese.
Una prospettiva rivoluzionaria per liberare la Palestina dal sionismo
Ciò che rende ancora più ricca questa grande opera di Ralph Schoenman è senza dubbio il tentativo dell’autore di dare una prospettiva rivoluzionaria all’eroica Resistenza palestinese, come anche a tutto il movimento internazionale a suo sostegno. Questo condivisibile passaggio lo ritroviamo nell’ultimo capitolo (il tredicesimo), «Una strategia per la rivoluzione», dove l’autore fa un'analisi molto schietta degli errori e delle capitolazioni a cui sono giunti - o erano in procinto di giungere - le direzioni delle organizzazioni politiche che componevano la Resistenza palestinese, ossia l'Organizzazione per la liberazione della Palestina (Olp) e soprattutto al-Fatah diretta da Yasser Arafat. Ricordiamo che la prima edizione del libro in lingua originale fu pubblicata nel 1988, in piena Prima intifada, quando iniziarono i primi colloqui di «pace» tra l’Olp, gli Stati uniti, Israele e i Paesi arabi, dando il via al lungo percorso di tradimento delle storiche rivendicazioni della Resistenza palestinese - da parte della sua direzione politica, con Arafat in testa - che portò alla firma dei nefasti Accordi di Oslo (1993). Rivendicazioni che erano, tra l’altro, tra i principi fondanti dell’Olp stessa, come quella di una Palestina libera, democratica e laica dal fiume Giordano al mare, che condividiamo. Anche l’autore parla apertamente di realizzare un «unico Stato palestinese laico, democratico e non razzista» per riportare sulla propria terra milioni di profughi palestinesi vittime della diaspora, costruendo una società che non discrimini sulla base della cultura, della religione o dell'etnia. Per realizzare questo unico Stato palestinese laico, democratico e non razzista è necessaria la distruzione dello Stato sionista di Israele. La politica dei «due Stati» che vivono in pace è stata la politica di spartizione dell'Onu e dell’imperialismo, inoltre è una grande utopia di fronte alla politica espansionista e genocida di Israele, che agisce con il sostegno dell'imperialismo statunitense in Medio Oriente.
Né per noi né per l’autore possono esserci dubbi su chi siano gli unici in grado di affrontare questo compito storico: le masse popolari arabe dei Paesi confinanti (Egitto, Libano, Siria e Giordania), guidate dai palestinesi al fine di accendere una lotta rivoluzionaria e militare contro Israele e contro i regimi e i governi che, come quelli di Egitto e Giordania, hanno tradito e riconosciuto Israele e firmato i «trattati di pace». Può sembrare che questo compito sia impossibile da realizzare, poiché si tratta di sconfiggere la quarta potenza militare del mondo che ha il pieno sostegno dell'imperialismo statunitense. Si pensava la stessa cosa per il Vietnam ma ci fu la combinazione dell'eroica Resistenza delle masse vietnamite - che erano pronte a tutto, proprio come le masse palestinesi oggi - con la mobilitazione internazionale, soprattutto dei giovani e dei lavoratori degli Stati Uniti e degli altri Paesi imperialisti.
La vittoria potrà avvenire solo con un percorso che includa la questione nazionale palestinese in un programma transitorio, che abbia come sbocco la rivoluzione, con l’abbattimento del sistema capitalista e la costruzione di Stati socialisti nella regione, grazie all’intervento coerente dei rivoluzionari impegnati nella costruzione di un'altra direzione, rivoluzionaria, non solo in Palestina, ma in generale nel movimento operaio internazionale. Direzione che dovrà dare un sostegno incondizionato alla Resistenza palestinese fino alla cacciata dei sionisti da quella terra oggi indebitamente chiamata «Israele».
Terminiamo questa scheda di lettura con l’ultimo pensiero che Schoenman dedica ai palestinesi: «Dobbiamo loro, quanto meno, fedeltà alla loro lotta rivoluzionaria, che non potrà essere completa fino a che non si estenda dal Mediterraneo al Golfo persico, dal Torrente d’Egitto all’Eufrate… e, come i loro oppressori sionisti hanno sempre proclamato, oltre».