SULLA GUERRA CIVILE IN SIRIA
di Claudio Mastrogiulio
La
sollevazione popolare contro la dittatura di Bachar El Assad ha avuto inizio
nel marzo 2011 in una regione remota chiamata Deraa, al confine con la
Giordania. Da allora si è estesa a tutto il Paese acquisendo una sempre
maggiore radicalità e condivisione delle masse.
La
forza crescente delle mobilitazioni popolari e l’impulso che le vittorie
conseguite negli altri Paesi della regione (come ad esempio, in Libia) hanno
dato al processo, nel suo insieme, un'accelerata molto imponente, finendo così
per generare una profonda crisi e migliaia di diserzioni nell’esercito regolare
siriano. Tant'è che è sorto, alla fine del 2011, quello che è stato nominato
Esercito della Siria Libera (Esl), costituito da soldati disertori e civili
armati.
Contro
un esercito regolare che mantiene ancora la superiorità numerica, l’Esl
utilizza tattiche militari simili a quelle della guerra di guerriglia. In
effetti, l’Esl conta più di 40 mila combattenti e le sue operazioni sono
caratterizzate da rapidi attacchi contro le posizioni pro-Assad, seguite da
rapide ritirate verso zone più sicure.
Assad
ha un enorme problema nella composizione delle sue forze armate. Anche se sono
numerose, la schiacciante maggioranza dei 300 mila soldati effettivi sono
reclute sunnite, ai quali, dubitando della loro fedeltà, non assegna di solito
incarichi nella repressione. Ed è proprio da queste forze proviene il maggior
numero di diserzioni, facendo sì che nella repressione vengono impiegate, di
solito, la Guardia Repubblicana, che conta circa 10 mila effettivi, e la Quarta
Divisione Meccanizzata, che nelle sue file contra altri 20 mila effettivi
La
situazione è drammatica per le masse popolari: assassinii, sequestri, stupri,
torture e ogni tipo di calpestamento dei diritti umani da parte del governo di
Assad sono all’ordine del giorno in Siria. Alle istanze delle masse siriane ed
alle loro mobilitazioni, dopo anni di regime corrotto ed anti-popolare, il
regime risponde con l'esercito. Di fronte alla sollevazione armata, Assad si
aggrappa al potere, rifiuta di negoziare, inasprisce la repressione e dichiara
al mondo intero che continuerà ad usare il “pugno di ferro” e che “sarà
irremovibile nell’affrontare i suoi nemici”, di fronte a quella che sarebbe una
“cospirazione straniera”.
La posizione dell'imperialismo
L’imperialismo
(statunitense ed europeo) e le borghesie arabe, che inizialmente lo hanno
appoggiato totalmente, da alcuni mesi hanno cominciato a prendere distanza da
Assad. Dapprima con degli avvertimenti, facendogli pressioni per cercare di
trovare un’uscita negoziata; successivamente gli imponendogli delle sanzioni
economiche, di nuovo senza risultato. La posizione di Assad, ha consentito alla
Lega Araba, che è un docile strumento nelle mani delle potenze imperialiste e
che per mesi ha cercato in tutti i modi di trattare con Assad, di sospenderlo
come Paese membro.
Tuttavia,
il principale problema per l’attuale regime siriano, sul terreno della politica
internazionale, è rappresentato dalla posizione di Francia, Gran Bretagna ed
Usa. Tutti questi Paesi “si uniscono” alla richiesta della Lega Araba all’Onu
(in realtà sono i veri ideatori di quella proposta di risoluzione), nel senso
che ritengono urgente l’uscita di scena di Assad e l’avvio di una “transizione
politica” verso un “sistema democratico e plurale”.
I
motivi di questa posizione, e non di un intervento militare diretto nella
regione, sono ben lungi da un presunto e improvviso sentimento umanitario nei
confronti del popolo siriano che viene massacrato, o da una reale difesa delle
libertà democratiche in quel Paese. Quelle potenze sono le stesse che hanno
sempre sostenuto la dinastia degli Assad, la quale a sua volta è sempre stata
fedele nella consegna del petrolio, nell’applicazione delle ricette
neo-liberiste dell’Fmi e nel proteggere le frontiere di Israele. Quello che si
nasconde dietro questa retorica “umanitaria” è la necessità vitale e connaturata alla propria struttura
economica, che ha l’imperialismo di sconfiggere il processo rivoluzionario in
Siria e in tutta la regione; un processo che diventa più acuto con la prmanenza
di Assad al potere. Il dittatore siriano, infatti, si è trasformato in una
pedina che non si può più sostenere, dato che ormai rappresenta un elemento di
destabilizzazione che non consente all'imperialismo di controllare senza
problemi la regione.
La
verità è che a El Assad restano pochi alleati nello scenario internazionale. Li
possiamo contare sulle dita di una mano e sono: Russia, Cina, Iran, Cuba,
Venezuela e Nicaragua. La Russia, che è membro permanente del Consiglio di
Sicurezza dell’Onu, ha annunciato che porrà il veto su qualunque risoluzione
che pretenda la deposizione di Assad. Il governo russo ha un interesse
particolare nel mantenere El Assad al governo, perché il porto siriano di
Tartus è l’unica base navale che la sua flotta ha a disposizione nel
mediterraneo.
Da
parte sua, Hugo Chávez ha emesso un comunicato tramite la sua Cancelleria con
il quale “esprime il suo più fermo appoggio” al governo siriano “e riconosce
l’ingente sforzo realizzato dal presidente Bashar Al Assad per favorire una
soluzione politica alla complessa congiuntura che sta attraversando il Paese”.
In questo modo, la corrente castro-chavista mantiene la propria posizione di
appoggio ai dittatori sanguinari e pro-imperialisti contro la lotta delle masse
di quei Paesi. Una posizione folle e criminale, di cui questi personaggi ed i
soggetti politici che vi fanno riferimento, dovranno un giorno risponderne
dinanzi alle masse. Si collocano al fianco di quelle dittature e contro le
masse, che vengono da loro accusate di commettere “atti terroristici”. Il tutto
condito con la ben nota cantilena dell’“assedio imperialista” a un presunto
leader antimperialista che rischierebbe di essere rovesciato “da forze
straniere”, come si dice nel comunicato ufficiale.
L’appoggio
a questi dittatori, oltre ad essere ripugnante, fortifica la posizione degli
imperialisti, perché li rafforza nel loro tentativo di apparire come “i
difensori della democrazia e dei diritti umani”. Tutto questo senza contare che
la solidarietà castro-chavista ai tiranni del mondo arabo indebolisce la
solidarietà di cui la giusta lotta delle masse popolari della Siria, e degli
altri Paesi, necessitano con tanta urgenza.
Il problema fondamentale della direzione delle masse
In
Siria si sta sviluppando un processo per alcuni versi simile a quello a cui
abbiamo assistito in Libia. Da un lato, ci sono le masse popolari, stanche
delle imposizioni di una dittatura pro-imperialista, che lottano con coraggio
riuscendo ad armarsi contro il regime. Dall’altro lato, vediamo che quelle
stesse azioni delle masse sono dirette da una direzione borghese, in questo
caso il cosiddetto Consiglio Nazionale Siriano (Cns), sorto negli ultimi mesi.
Dall’altra
parte c’è Hamas, che aveva la sua sede a Damasco, e che, lungi dall’intenzione
di dirigere la giusta lotta delle masse popolari siriane contro Assad, si è
limitato a una posizione di estraneità, che favorisce il dittatore.
L'unica
soluzione risolutive per le masse popolari siriane consiste nella loro capacità
di riprendere in mano i destini della loro lotta. Dirigenti come quelli
attuali, tanto quelli del Cns che quelli dell’Esl, se momentaneamente possono
collocarsi nello stesso campo militare delle masse popolari contro Assad, per
la loro collocazione di classe prima o poi finiranno col tradire le aspirazioni delle classe sociali più deboli,
non solo quelle economiche, ma finanche quelle meramente democratiche.
L’unica
via d’uscita, per una vittoria strategica, è costruire una direzione
rivoluzionaria proletaria e internazionalista che prenda nelle proprie mani le
redini della rivoluzione che metta in discussione la presenza stessa
dell'imperialismo nella regione.
La
lotta è per la caduta immediata di Assad e per l’instaurazione di un governo del
proletariato siriano.