La storia del 17 maggio: l’omobitransofobia è una questione di classe
di Sara Trotta e Alessia Antici
La giornata del 17 maggio è la data internazionale contro l’omofobia, la transfobia e la bifobia. È stata ideata nel 2004, per ricordare la decisione dell’Oms, di quattordici anni prima, di togliere l’omosessualità dall’elenco delle malattie mentali. In seguito, venne aggiunta anche la transfobia, che per molto tempo aveva riguardato una minoranza nella minoranza.
L’obiettivo di questa giornata è quello di organizzare eventi e manifestazioni non solo al fine della sensibilizzazione, ma anche, e soprattutto, per mobilitarsi nella lotta contro queste discriminazioni che, come le altre, sappiamo essere frutto di questo sistema sociale.
L’oppressione omobitransofobica nella storia
È una lotta che va avanti da più di un secolo. Già alla fine dell’Ottocento, infatti, sono iniziate le prime petizioni contro leggi e misure che miravano a punire e discriminare gli omosessuali. Durante la seconda guerra mondiale, sia nella Germania nazista che nella dittatura di Stalin, l’omosessualità veniva ritenuta un reato ed era punita con anni di reclusione, in carcere, nei campi di concentramento o in Siberia. Finita la guerra iniziarono a formarsi, in tutta Europa e negli Stati Uniti, dei «movimenti omofili», chiamati così perché si riteneva che il termine avesse una connotazione meno negativa rispetto alla parola «omosessuale». Il loro scopo era quello di rimuovere l’omosessualità dalle patologie mentali, ma anche quello di far sì che gli omosessuali venissero integrati nella società, senza, però, prevedere cambiamenti sociali.
Almeno fino al 1965 quando venivano svolti dei controlli per mano della polizia nei locali gay, tutti i nomi delle persone che si trovavano al loro interno venivano registrati e molto spesso vi erano degli arresti. All’inizio del 1966, invece, venne imposto che i carabinieri al momento dell’arresto di un omosessuale dovessero essere in presenza di un civile. Ma, per il resto, le misure di repressione verso le persone omosessuali o transessuali furono notevolmente inasprite. Questo fino al 1969, anno dei moti di Stonewall.
I moti di Stonewall
Nella notte fra il 27 e il 28 giugno, nei pressi del noto gay bar Stonewall Inn, iniziò una serie di scontri molto violenti fra gruppi di transessuali e omosessuali e i poliziotti che si erano recati nel bar per arrestare tutti coloro non in possesso di un documento d’identità, oppure vestiti con abiti dell’altro sesso. Si dice che sia stata proprio una donna trans, Sylvia Rivera, ad iniziare quella rivolta, lanciando una bottiglia contro uno degli agenti. In seguito a questi giorni di rivolte negli Stati Uniti si formò il Gay Liberation Front e, in seguito, in molti altri Paesi d’Europa si costituirono organizzazioni simili, mentre in Italia ciò avvenne solo anni dopo, nel 1971.
A partire da Stonewall, negli anni successivi, nel mese di giugno si tenevano - e si tengono ancora oggi - manifestazioni per ricordare l’«orgoglio lgbt», meglio conosciute come «Gay Pride». Lo scopo di queste mobilitazioni era quello di lottare per ottenere i diritti per le persone appartenenti alla comunità lgbt, ma con la consapevolezza che fosse necessario cambiare il sistema sociale, rifiutare le logiche borghesi, criticare e distruggere il capitalismo, perché per abolire qualsiasi disuguaglianza bisogna prima eliminare la prima grande disuguaglianza sociale: quella di classe. La fase di lotta per i diritti fondamentali di Stonewall ha avuto un carattere del tutto rivoluzionario, in contrasto con gli apparati di repressione istituzionali come la polizia e con a classe dirigente borghese dello Stato.
La loro risposta e la nostra
Il quadro storico risulta del tutto in contrasto con l’attuale lotta alla repressione della comunità lgbt. I partiti borghesi, come Pd e M5s, e le multinazionali negli ultimi anni si sono appropriati indebitamente dei temi originariamente rivoluzionari in occasione del Gay Pride e del ddl Zan. Si pensi alla campagna social avviata durante il lock-down per l’approvazione del disegno di legge, quando passavano sotto silenzio le proteste della comunità lgbt per la chiusura dei centri d’ascolto in relazione a un aumento delle violenze omobitransfobiche.
L’intenzione era ed è, chiaramente, quella di accaparrarsi qualche voto in più. Alla propaganda del Pd si accodano spesso settori riformisti, che illudono le masse di poter in qualche modo limare qua e là il sistema e renderlo accettabile, senza estirparlo effettivamente. Questo è coerente con una visione politica che vede nella realizzazione individuale il mezzo unico di lotta contro le oppressioni, ma risulta del tutto evidente, mediante l’analisi materialista, il carattere di classe delle oppressioni.
Dunque, per quanto le direzioni del movimento siano corrotte, non bisogna in ogni caso allontanarsi dalla lotta, poiché si tratta di un'oppressione che coinvolge la classe operaia. L’omofobia si configura tra i mezzi utilizzati dal sistema capitalista per mantenere la classe divisa e aumentare lo sfruttamento della nostra classe mediante le oppressioni.
È fondamentale per noi rivoluzionari inserirci in queste lotte e portare al loro interno la coscienza socialista, educare la classe a non accettare né riforme né contentini. Non possiamo lasciare alle istituzioni il compito di combattere le discriminazioni e le oppressioni, o peggio far prevalere le posizioni staliniste di alcune organizzazioni, che considerano la questione delle oppressioni come «secondaria» rispetto allo sfruttamento. In qualità di trotskisti è nostra responsabilità contrastare qualsiasi mistificazione del marxismo o riduzione di questo a un banale economicismo.
È necessario partecipare a ogni rivendicazione democratica, inserire le rivendicazioni democratiche all’interno del programma transitorio del partito, affiancandole però a rivendicazioni di carattere rivoluzionario. In ultima istanza la direzione rivoluzionaria d’avanguardia del partito è l’unico strumento in grado di far cessare tutte le oppressioni e lo sfruttamento, rovesciando il sistema capitalista e costruendo una società basata non più sull’accumulo di capitale, ma sul benessere e la libertà.