FERRANDO: UNA BUGIA TIRA L'ALTRA
Quando lo spettacolo sostituisce la politica
Il corsivo di Franco Crisecci
Non abbiamo replicato
alle recenti dichiarazioni false fatte da Ferrando al Corriere della Sera sulla presenza del nostro
partito in sole due città (inventate a caso). La nostra attività è ben visibile
su tutto il territorio nazionale e, a differenza del Pcl, non necessitiamo di
un certificato di esistenza in vita.
Non abbiamo risposto alle dichiarazioni false fatte da Grisolia in rete circa nostre presunte fughe con i tesori della vecchia sinistra del Prc. Il senso del ridicolo ce lo ha impedito.
Ci si lasci dunque oggi sorridere dall'ennesima dichiarazione falsa -stavolta platealmente smascherata- di questi instancabili dichiaratori di bugie.
"Il mentitore dovrebbe tener conto che per essere creduto non bisogna dire che le menzogne necessarie." Se Marco Ferrando non si limitasse a leggere ogni giorno quaranta giornali in cerca del suo nome, forse potrebbe imbattersi in un libro che riporta questo utile suggerimento di Cosini (Zeno Cosini da non confondere con Pierferdinando Casini: precisiamo per Grisolia nel caso voglia cercare il nome sulle quarte di copertina di cui è avido lettore). Ahinoi, il mancato rispetto di questo precetto indispensabile ai bugiardi patentati ha fatto commettere l'ennesima figuraccia al principale (uno di due) dirigente del Pcl. La vicenda è divertente e merita di essere raccontata.
Dopo giorni di astinenza
da citazione sui giornali (per colpa di un Turigliatto che gli ha timidamente rubato
la scena), Ferrando è riuscito finalmente a farsi intervistare dal Corriere della Sera, per un pezzo "di
colore" sul trotskismo. E lì ha spiegato che la Quarta Internazionale è
lui stesso (c'est moi, avrebbe detto un suo maestro, Luigi XIV). A un giornalista
evidentemente poco addentro alla storia del trotskismo ha snocciolato una serie
di nomi di vari partiti riconducibili al Crqi, sigla dietro cui sta -come sa
chiunque si voglia interessare della cosa- non "la Quarta
Internazionale" ma un gruppo argentino che ha la pretesa infondata di
averla rifondata attorno al proprio guru, Jorge Altamira (altro discendente diretto
del Re Sole).
Così se il giornalista
del Corriere non cita nessuna
delle organizzazioni più grandi che -alcune a torto, altre a ragione- si
richiamano alla Quarta Internazionale nel mondo è perché si è fidato
dell'informazione di Ferrando. Il giornalista non può sapere nemmeno (e non era
interessato a sapere, intento a usare Ferrando per ridicolizzare il trotskismo)
che Altamira scrive del Pcl di Ferrando che è "solo l'ennesimo gruppo di
propaganda che vegeterà in Italia". Nemmeno sa, il giornalista, che i
militanti del Pcl a loro volta scrivono nelle mozioni (pubblicate sul loro sito
romano) che il Crqi è "organizzazione della quale la maggior parte di noi
ignora financo l'esistenza".
Per il Corriere i trotskisti spuntano anche dove non ci
sono: e se con riluttanza deve specificare che i trotskisti Turigliatto e
Cannavò (che sostengono il governo imperialista con una "fiducia
distante", termine che varrà loro imperitura memoria) spiegano di non
avere più nulla a che fare col trotskismo (cosa che non ci sentiamo, in tutta
onestà, di smentire), subito si consola, il giornalista, con un nuovo aderente
al Pcl, e dunque al Crqi e quindi trotskista.
E' qui che torna in ballo Zeno Cosini (un aiuto a Grisolia: cerca alla lettera S di Svevo). Zeno sa bene che il mentitore dovrebbe limitarsi alle "menzogne necessarie", altrimenti rischia di essere scoperto. Ma, si sa, una bugia tira l'altra. Così Ferrando non si accontenta di dire che il Crqi è la Quarta Internazionale, lui e Grisolia essendo dirigenti del Crqi e del Pcl, ergo il Pcl è entrato nel Crqi (senza che nemmeno gli iscritti se ne accorgessero, come col silenzio-assenso sul Tfr): aggiunge anche che ne fa parte Lucio Manisco.
E' per questo che il povero Manisco, arruolato a sua insaputa (un po' come i militanti del Pcl) nel Crqi, e dunque nella Quarta Internazionale, e promosso sul campo trotskista, è costretto a precisare (sul Corriere del 7 marzo) che tutto ciò "non risponde a verità". Ma questa "verità" -gli risponde il giornalista, stizzito per essersi perso un altro "trotskista"- gli è stata raccontata "direttamente da Marco Ferrando, motivo per cui eventuali spiegazioni vanno sollecitate direttamente a Ferrando."
In attesa che arrivino le
"eventuali spiegazioni" di questa ennesima balla, possiamo passare in
rassegna le infinite altre che l'hanno preceduta.
Un anno fa Ferrando
assicurò ai giornalisti di essere il dirigente di una minoranza del 41% in
Rifondazione. Parecchi giornali continuarono a ripetere questa
"verità", finché i dirigenti delle altre tre minoranze non spiegarono
che, a dire il vero, Ferrando aveva un tempo un'area del 7% (il 2% al netto
della rottura di PC Rol e dell'area di Veruggio, curiosamente nominata Controcorrente,
rimasta nel Prc).
Poi Ferrando (abbassando
un po' il tiro) disse ai giornalisti di essere in maggioranza nella sinistra
del Prc. Anche questa "verità" fu smentita dalle logiche scortesi
dell'aritmetica: 10 dirigenti su 17 dell'area in Cpn votarono contro le
posizioni di Ferrando di partecipazione alle primarie dell'Unione e di
autocandidatura al Senato. Lo stesso Bertinotti, dopo aver sfilato la poltrona
sotto il sedere di Ferrando, precisò che in effetti gliela aveva concessa
"contro il volere della maggioranza della sua area".
Poi Ferrando uscì dal Prc
e dichiarò alla stampa una nuova "verità": alcuni parlamentari del
Prc e del Pdci stavano per passare con lui. Disse che preferiva non fare nomi,
per strane ragioni di riservatezza. I giornali (o almeno quelli che non
verificano prima le notizie) riportarono con enfasi la cosa, tanto da
costringere i cosiddetti parlamentari "ribelli" a precisare di non avere
nulla a che fare col Pcl.
A corto di notizie
"vere", pur di uscire sulla stampa Ferrando annunciò nell'ordine: una
querela alla magistratura borghese contro Fassino; un dibattito in piazza con
Rotondi (nuova Dc) moderato da Funari; una sfida oratoria a Pannella (che però
non si disse interessato, avendo già sufficiente spazio in Tv con i suoi
digiuni).
A seguire, varie dichiarazioni sull'adesione al Pcl di "migliaia" di militanti e consiglieri comunali. Nessuno è ancora riuscito a vederli ma ogni tanto la "notizia" appare su qualche giornale. La crescita esponenziale di questo partito è ahinoi smentita dagli stessi documenti interni (ingenuamente pubblicati sul sito romano) che parlano di sviluppo "deludente". Deludente nonostante chiunque possa considerarsi iscritto (come si vede, talvolta anche a sua insaputa): non esistendo obblighi né di militanza né finanziari (in ossequio alla miglior tradizione menscevica: da Martov a Marco). Nemmeno è necessario essere d'accordo su un programma, sostituito da quattro punti take-away che ognuno si porta a casa e mangia come preferisce, con la forchetta o con i bastoncini, attingendo da un unico scartoccio di riso primavera in cui (secondo quanto leggiamo in alcuni contributi al dibattito congressuale del Pcl) convivono la rivoluzione permanente e il "socialismo in un Paese solo", e tutti "i marxismi" di Mao, Stalin, Trotsky (senza dimenticare Ho Chi Minh).
Al Pcl non serve un programma, né una organizzazione, né un giornale (il sito web stesso riporta solo i comunicati del leader). La sopravvivenza (seppure solo nell'etere) è assicurata da qualche spazio sui giornali, sempre in cerca di qualche scandalo, prontamente offerto da Ferrando pur di guadagnare un titolo, un taglio basso, un trafiletto purchessia o una poltroncina in qualche show televisivo: fosse pure lo spettacolo trash di Funari o financo una puntata di Matrix dedicata all'esaltazione dell'efficienza delle forze di polizia che sono riuscite a scovare quattro squinternati con lo schioppo. Mentana non è riuscito a trovare due dirigenti di sinistra disponibili a partecipare a una simile trasmissione, in compagnia di una dirigente di Azione Giovani (An), di Belpietro (direttore del Giornale) e del coccolatissimo generale dell'Ucigos (a cui il conduttore ha riconosciuto più volte, commosso, di aver salvato la Patria da questo pericolo gigantesco). Due dirigenti, si diceva, non li ha trovati: ma uno sì, Ferrando appunto.
L'importante -per
Ferrando- non è che cosa compare
sui giornali, l'importante è comparire sui giornali. Se per creare la notizia
bisogna -in ossequio a un vecchio adagio del giornalismo- mordere un cane,
ebbene Ferrando lo farà.
Se poi un giornalista, avendo
esaurito le dichiarazioni "di fuoco" di Caruso o di Scalzone, fa
dichiarare a Ferrando anche quello che non ha dichiarato, Ferrando ne approfitta
per una nuova dichiarazione di rettifica a cui segue ancora una dichiarazione
(come pochi giorni fa) per accusare la stampa di travisare le sue dichiarazioni
e di costruire una "campagna maccartista" contro di lui.
Anni fa Umberto Eco scrisse una divertente Fenomenologia di Mike Bongiorno. Oggi un semiologo potrebbe scrivere un testo analogo sul creatore del primo partito virtuale della storia, giocoliere dei numeri e degli iscritti, moltiplicatore del vuoto, intrepido inventore di storie e di scandali incurante di ogni smentita. Autentico uomo di spettacolo, come Mike e come Pippo. Non ci sorprenderebbe scoprire che la Rai pensa di affidare a Ferrando il prossimo San Remo.