Lenin e l’emancipazione delle donne
di Laura Sguazzabia
È ormai assodato che il pensiero e l’azione di pochi altri personaggi storici del movimento operaio sono stati tanto distorti dall’ideologia capitalista quanto Lenin (e di conseguenza i bolscevichi e la Rivoluzione russa). Qualunque ne sia la riscrittura, Lenin appare come un dittatore, più o meno sanguinario, fortemente maschilista, e la Rivoluzione russa come un colpo di Stato che ha peggiorato la situazione del proletariato, incurante della condizione di oppressione delle donne: il loro ruolo e le misure adottate nei loro confronti sono menzionate di sfuggita o addirittura accantonate. Nei manuali scolastici, nei saggi storici o nei dibattiti politici, quando non si assiste ad una vera e propria deformazione od omissione dei fatti, emerge quell’atteggiamento – antistorico – che potremmo definire «col senno di poi»: la valutazione di un’azione o di un comportamento a posteriori, senza considerare le premesse, il contesto, l’evoluzione. Però, «i fatti hanno la testa dura». Il completo rovesciamento del capitalismo da parte della classe operaia russa diretta dal partito bolscevico nel 1917 ha generato un cambiamento così radicale nella società che non si è mai visto né prima né dopo, dal quale le donne hanno ricavato molto più di quanto abbiano ora. Tale cambiamento è stato possibile perché al percorso verso la presa del potere ha partecipato attivamente tutto il proletariato, uomini e donne insieme.
La produzione teorica
Una delle prove avanzate per accusare Lenin di non avere alcun interesse per l’emancipazione della donna è che l'oppressione di genere non ha un posto di rilievo nella sua produzione teorica. In realtà, un esame dell'opera del rivoluzionario russo mostra che si tratta di una questione che egli non trascura. A parte la famosa intervista di Clara Zetkin al dirigente bolscevico, è un’altra famosa rivoluzionaria a segnalare quanta attenzione Lenin ponesse all’argomento: nella sua prefazione a L’emancipazione della donna (una raccolta di scritti e articoli di Lenin sul tema) Nadežda Krupskaja ci informa delle «oltre quaranta occasioni» in cui Lenin menziona esplicitamente l'emancipazione delle donne e da cui emerge la consapevolezza di come la dominazione capitalista implichi la crescente oppressione delle lavoratrici. Nell’introduzione alla nuova edizione del testo in occasione del centenario della morte, Valeria Finocchiaro, studiosa di filosofia e del pensiero politico leninista, scrive: «Nonostante questi scritti abbiano più di cento anni mantengono una lucidità e una freschezza che a volte negli avvitamenti teorici del mondo contemporaneo sembrano mancare».
Fin dall'inizio della sua attività rivoluzionaria, Lenin si occupa specificatamente delle donne lavoratrici nelle sue campagne di agitazione («Agli operai e alle lavoratrici della fabbrica Thornton», 7 novembre 1895).
Durante la sua prigionia nel 1896-97, Lenin dedica numerose riflessioni alle condizioni socio-economiche delle proletarie russe. Uno dei suoi oggetti di studio è il sovraccarico che comporta il lavoro di cura. Oltre a ciò, insiste sui benefici per le donne di una partecipazione diretta al processo produttivo nelle grandi industrie, che ridurrebbe la loro alienazione, rendendole più indipendenti e aiutandole così a spezzare le catene dell’oppressione. Analizza anche il processo di femminilizzazione del settore agricolo nei Paesi capitalisti e come questa femminilizzazione fosse legata alle piccole aziende agricole. Nelle sue riflessioni sulla precarietà delle condizioni di vita delle contadine e sul loro sovrasfruttamento, Lenin torna ancora una volta a difendere la necessità imperativa di incorporare attivamente le donne nel tessuto produttivo.
In esilio, Lenin medita anche sul programma del Partito. Esaminandone la bozza, al punto 9 della parte pratica del programma, che chiedeva «la revisione di tutta la nostra legislazione civile e penale e l'abolizione delle suddivisioni delle proprietà, nonché delle pene, incompatibili con la dignità umana», scrive che era necessario aggiungere: «l'instaurazione della piena uguaglianza dei diritti dell'uomo e della donna». Quando il programma del Partito viene adottato nel 1903, il punto è inserito.
Senza menzionare gli articoli e gli approfondimenti che costellano la sua produzione teorica dal 1914 al 1921: attraverso questa serie di scritti, Lenin ci consegna la sua opinione su matrimonio, divorzio, famiglia, libertà riproduttiva e sessuale, questioni che, dopo la vittoria della Rivoluzione bolscevica, costituiscono le maggiori conquiste che le donne di ogni epoca abbiano mai raggiunto.
Due punti sono chiari nella sua elaborazione, sebbene sia ridotta e non organizzata in un testo dedicato: che non potrà esserci la rivoluzione socialista senza l’inclusione delle donne e che le donne devono essere parte attiva del processo per la presa del potere. Per questo tutta la sua produzione e tutta la sua attività sono protese nello sforzo di incoraggiare il coinvolgimento attivo delle donne nella politica, facendo numerosi appelli alle donne (sia militanti che non) affinché si uniscano al partito e ai soviet. Secondo l’idea bolscevica, infatti, se è vero che il lavoro per l’emancipazione femminile interessa l’intero partito poiché il tema dell’oppressione femminile non può essere disgiunto dalla battaglia più ampia per il socialismo, tocca però alle donne svolgere il ruolo principale, di organizzare, in sintonia con l’avanguardia comunista del proletariato, le condizioni della propria liberazione: «Noi diciamo che l’emancipazione delle operaie deve essere opera delle operaie stesse (…) È nostro compito rendere la politica accessibile ad ogni lavoratrice», (Lenin) rendere cioè le lavoratrici, non solo le lavoratrici appartenenti al partito, ma anche «quelle senza partito e meno coscienti», protagoniste.
Il coinvolgimento delle donne
Nella scena politica dell’epoca, le donne molto spesso sono percepite come elementi arretrati, anche tra i bolscevichi. Il problema, secondo Lenin, stava nel non riconoscere che le donne non entravano nel movimento socialista, o nei movimenti sindacali organizzati, non solo a causa dell’arretratezza, ma a causa del doppio fardello che dovevano affrontare. Le compagne del partito provenivano spesso da un ambiente in cui altri membri della famiglia potevano prendersi cura dei bambini o in cui potevano prendere la decisione di non avere figli. Spesso invece le donne del proletariato non potevano garantire tali condizioni. Inoltre, il divieto sociale russo contro le donne di prendere parte alla sfera politica maschile operava con maggiore severità nei confronti delle donne provenienti da famiglie operaie e contadine, rispetto alle donne provenienti da ambienti più ricchi. Non era dunque sufficiente garantire un’uguaglianza formale nel partito: era necessario educare il partito, valorizzare ed organizzare il lavoro svolto dalle donne per eliminare la disuguaglianza nella sfera privata.
A partire dalla rivoluzione del 1905 gruppi relativamente più grandi di donne entrano nel partito perché le compagne bolsceviche hanno avviato un lavoro nel movimento femminile russo, portando allo scoperto la discriminante di classe rispetto al femminismo borghese. Allo stesso modo la stampa del partito bolscevico dedica spazio, sempre maggiore, alle problematiche femminili.
Nel marzo del 1913 lo sforzo del partito bolscevico per intensificare il lavoro tra le donne si concretizza nella preparazione della prima celebrazione della Giornata delle operaie.
Nel 1914 si decide di destinare alle proletarie, anche per pressione di Lenin, una pubblicazione apposita, chiamata Rabotnitsa (La lavoratrice) il cui primo numero esce nonostante l’arresto dell’iniziale comitato di redazione a causa della repressione zarista. Nello stesso anno il Comitato centrale del partito bolscevico istituisce un gruppo di lavoro con il compito di promuovere gli incontri per la giornata internazionale delle donne: vengono organizzate assemblee nelle fabbriche e in sedi pubbliche dove si discutono i temi principali riguardanti l’oppressione femminile; sono inoltre elette delle rappresentanti con il compito, all’interno del nuovo gruppo, di approfondire le proposte emerse.
Nel 1917, alla vigilia della Rivoluzione, i bolscevichi contavano circa 2.500 donne iscritte, di cui per il 36,8% operaie o contadine. Un fatto notevole dato il contesto iniziale. La loro adesione si spiega, in primo luogo, perché nelle condizioni asfissianti della Russia zarista, il Partito operaio socialdemocratico russo (Posdr), nonostante i suoi difetti, garantiva una maggiore uguaglianza alle donne; in secondo luogo, perché il bolscevismo non vedeva l’uguaglianza delle donne come una mera uguaglianza formale, insistendo sul fatto che la liberazione delle donne e la rivoluzione erano integralmente connesse. Il Posdr è stato costante nell’implementare questo programma, che rifletteva la sua attenzione alla classe e al genere. Già con gli scioperi del 1905-1907 c’è la dimostrazione che le rivendicazioni delle donne venivano regolarmente avanzate: le questioni relative alla maternità e all'asilo nido in particolare, erano legate in modo vitale al diritto delle donne al lavoro.
Analizzare l’interesse di Lenin e dei bolscevichi per la questione dell’emancipazione femminile, sarebbe impossibile senza studiare l’influenza esercitata da numerose rivoluzionarie sull’elaborazione teorica e sull’attività politica del partito nel suo insieme. Va denunciato lo scarso spazio dedicato nelle biografie di Lenin alle donne che hanno avuto un ruolo decisivo nella sua vita e nella storia del partito bolscevico ed è necessario insistere sul fatto che la sua compagna (Nadežda Krupskaja), le sue sorelle (Anna Elizarova e Maria Ulyanova) e numerose militanti (tra le più famose Inessa Armand e Aleksandra Kollontaj) furono rivoluzionarie convinte che svolsero un ruolo essenziale nella Rivoluzione russa. Fino alla vigilia della Rivoluzione d'ottobre, Lenin non è in Russia: queste donne non solo sono state protagoniste nel mantenere l'organizzazione bolscevica durante gli anni dell'esilio di Lenin, ma hanno anche svolto un lavoro encomiabile nella costruzione del partito durante il 1917, concentrandosi in particolare sulle donne e sulla gioventù lavoratrice.
La prassi rivoluzionaria
Da ultimo, ma non meno importante, vogliamo ricordare i fatti.
Vogliamo ricordare che la «scintilla» rivoluzionaria che avvia il percorso verso la presa del potere nell’Ottobre 1917, è innescata l’8 marzo (23 febbraio secondo il calendario giuliano in vigore nella Russia dell’epoca) dello stesso anno quando le operaie tessili del quartiere di Vyborg si convocano per un atto contro la guerra e contro la carenza di cibo e risorse. Quel giorno scoppia lo sciopero nella maggior parte delle fabbriche. L'umore delle donne è combattivo, non solo tra le operaie, ma anche nella massa di donne in fila per il pane e il carbone. Si dirigono alle fabbriche e invitano i lavoratori a unirsi a loro. Tengono riunioni politiche, prendono il controllo delle strade, fermano i tram, vanno in parlamento per far valere le loro richieste. «Quel giorno le donne russe hanno brandito la torcia della rivoluzione proletaria ed hanno dato fuoco alle polveri». (Kollontaj)
Durante l’estate, i bolscevichi accompagnano la radicalizzazione delle donne, appoggiando lo scoppio di un'ondata di scioperi nel settore dei servizi (lavandaie, domestiche, commesse, cameriere, ecc.), in prima linea nell’organizzazione di queste lavoratrici. Soprattutto le compagne fanno enormi sforzi per far sì che le idee bolsceviche raggiungano le lavoratrici e le mogli dei soldati. Costituiscono così una base in questo strato da poco politicizzato, nonostante le difficoltà legate al sessismo profondamente radicato, ai compiti domestici, all’analfabetismo. A questo scopo, le donne rivoluzionarie danno vita a circoli di studio tra le scioperanti per politicizzarle ed educarle. La coscienza di classe di tutte queste donne si consolida notevolmente, tanto che, quando i bolscevichi guidano la presa del potere e rovesciano il governo provvisorio in ottobre, in realtà sono state molte più le donne che hanno invaso il Palazzo d'Inverno di quelle a difesa, contrariamente alla credenza popolare.
Vogliamo ricordare che sotto la guida di Lenin viene approvato il Codice Civile del 1918, che decreta la protezione dello Stato per le madri e i bambini, rendendo gratuita l'assistenza alla maternità; viene concessa la «licenza mestruale» retribuita; è legalizzato il divorzio e il matrimonio diventa un atto civile, in cui entrambe le parti assumono gli stessi diritti e doveri; viene abolita la distinzione tra figli legittimi e illegittimi; l'educazione religiosa è abolita e le istituzioni confessionali sono convertite in centri di servizio sociale.
Nel 1920, per la prima volta al mondo, viene legalizzato l'aborto, gratuito e sicuro.
Il lavoro diventa obbligatorio e paritario tra uomini e donne e, per questo, viene creata una rete di istituzioni di sostegno sociale, tra cui asili, centri di assistenza diurna, mense, lavanderie pubbliche, cucine collettive, ecc.
Vogliamo ricordare che la questione dell’uguaglianza sostanziale tra uomini e donne è stata affrontata soprattutto grazie alla creazione dello Zhenotdel, dipartimento del Comitato centrale per il lavoro tra le donne, la cui attività era vasta: programmi per reclutare donne nei luoghi di lavoro su un piano di parità con gli uomini; riunioni di delegate per rappresentare le donne della classe operaia nei loro luoghi di lavoro e nelle comunità, che a loro volta gestivano un programma di tirocinio per formare le donne a nuovi ruoli nelle fabbriche e nei dipartimenti governativi; ispezioni nelle fabbriche e nei luoghi di lavoro per garantire il rispetto delle leggi a protezione della salute e della sicurezza delle donne lavoratrici, e anche oltre il luogo di lavoro; organizzazione delle donne disoccupate in cooperative. Nell’Asia sovietica, lo Zhenotdel ha adottato forme innovative di lavoro per portare le donne contadine e urbane fuori dal tradizionale isolamento e verso un’attività indipendente in progetti economici e culturali collettivi.
E tanto altro ancora, nonostante la guerra civile e di fronte a enormi difficoltà sociali, economiche, religiose e culturali.
In conclusione, tutto questo sarebbe stato possibile se Lenin fosse stato davvero quel dittatore sanguinario e maschilista dipinto nella storiografia borghese? Evidentemente no, ed è la Storia a confermarlo: i diritti delle donne russe continuano a crescere e a consolidarsi con Lenin in vita, mentre diminuiscono drasticamente man mano che procede la degenerazione burocratica del partito bolscevico e dello Stato operaio sovietico.
Oppure, secondo il criterio «col senno di poi» si sarebbe potuto fare di più? Evidentemente no, perché, usando correttamente la lente dell’analisi storica, è tutto ciò che, date le circostanze, si poteva ottenere.
La deformazione dei fatti, nell’una o nell’altra versione, è funzionale soltanto al capitalismo, per non farci percepire quanto vantaggio deriverebbe in un mondo socialista per le donne. Per dirla con Lenin: «Il risultato principale, fondamentale conseguito dal bolscevismo e dalla Rivoluzione d'ottobre è di aver trascinato nella politica proprio coloro che erano più oppressi sotto il capitalismo. (…) La rivoluzione bolscevica distrugge le radici dell'oppressione e dell'ineguaglianza delle donne assai più profondamente di quanto, fino ad oggi, abbiano osato nessun partito e nessuna rivoluzione. (…) ci siamo messi al lavoro e già marciamo su una via nuova». (Lenin, 8 marzo 1921)