Partito di Alternativa Comunista

Le mobilitazioni in Iran continuano a crescere e prendono di mira il regime

Le mobilitazioni in Iran continuano a crescere e prendono di mira il regime

 

 

di Florence Oppen

 

 

Questa è la quarta settimana di grandi mobilitazioni in Iran dopo l'uccisione della donna curdo-iraniana Mahsa Amini da parte della Polizia della moralità di Stato il 16 settembre 2022. Finora sono state arrestate più di 1.200 persone e almeno 154 manifestanti sono stati uccisi dalla polizia, tra cui la sedicenne Nika Shakarami, molto attiva nelle proteste e morta dopo essere stata inseguita dalla polizia (1). Il governo ha costretto con pesanti ricatti la famiglia a negare qualsiasi coinvolgimento della polizia nella sua morte, ma i genitori stanno parlando (2).
Il movimento contro le leggi sull'hijab obbligatorio, che secondo uno studio del 2020 sono respinte dal 72% degli iraniani e supportate solo dal 15%, si sta espandendo con proteste in più di 80 città, incorporando richieste di altre libertà democratiche, oltre che rivendicazioni economiche (3). I manifestanti ora prendono di mira il governo Raisi e il regime della Repubblica Islamica in generale. Alcuni settori della classe operaia si stanno unendo alle proteste e i giovani stanno partecipando numerosi al movimento.
Se si uniscono sotto una direzione chiara che riesca a sconfiggere la repressione che tenta di screditare il movimento, la combinazione di tutte queste forze e rivendicazioni sociali ha il potenziale per rovesciare il regime.
Nella nostra analisi della situazione in Iran dobbiamo anche considerare l'aggravarsi della crisi economica nel Paese dal 2018. L'instabilità economica in Iran e il peggioramento delle condizioni di vita sono direttamente collegati tanto al capitalismo clientelare dell'oppressivo regime iraniano e all'arricchimento delle élite a spese della popolazione, quanto all'imposizione di sanzioni statunitensi sul Paese che hanno danneggiato solo gli iraniani e non il regime. Vogliamo quindi contestualizzare le ultime proteste, in cui le donne svolgono un ruolo d'avanguardia, e proporre una visione socialista della lotta.

 

Donne, giovani e lavoratori uniti nella lotta

Sabato 1° ottobre, gli iraniani residenti all'estero hanno organizzato manifestazioni in più di 150 città del mondo per esprimere la loro solidarietà ai manifestanti e condannare la repressione del governo, con migliaia di partecipanti in ogni città. Questo movimento, avviato e guidato dalle donne e inizialmente organizzato attraverso i social media, ha raccolto il sostegno di tre importanti settori lavorativi: gli insegnanti, i commercianti e i lavoratori del settore petrolifero.
Il Consiglio di Coordinamento del Sindacato degli Educatori dell’Iran ha inizialmente appoggiato le manifestazioni chiedendo uno sciopero di due giorni. Hanno affermato: «Gli insegnanti, che hanno organizzato un'ondata di scioperi e proteste dallo scorso dicembre, hanno scritto che la rivolta mostra che "l'Iran è ancora vivo e attivo e non si piega all'oppressione"». (4) La brutale e continua repressione del regime ha di fatto radicalizzato ulteriormente la popolazione, tanto che anche i giovani e altri settori del movimento operaio, attivi nel recente passato, si stanno unendo alle proteste.
La stessa Federazione degli insegnanti sta raddoppiando il sostegno alle donne e ai diritti democratici, combinandolo con le proprie rivendicazioni economiche e contribuendo all'organizzazione dei giovani. Il Consiglio Coordinatore ha pubblicato su Telegram un «appello a insegnanti e studenti a boicottare le lezioni lunedì 4 e mercoledì 6 ottobre» per protestare contro la diffusa repressione delle proteste popolari, il presidio militare di alcune scuole e l'arresto di studenti e manifestanti nelle strade» (5). Gli insegnanti si stanno organizzando con i giovani, denunciando l'acquartieramento di scuole e università, e la federazione sindacale ha denunciato che «alcune scuole del Paese sono state trasformate in basi militari per reprimere i manifestanti». Hanno anche denunciato le condizioni di detenzione di giovani e studenti universitari, che a volte vengono messi in isolamento.
Anche gli studenti universitari si stanno unendo e finora hanno organizzato azioni di solidarietà in molti campus in tutto l'Iran. La scorsa settimana, la polizia antisommossa ha circondato la prestigiosa Sharif University of Technology di Teheran, effettuando numerosi arresti (6). Il Consiglio per l'organizzazione delle proteste dei lavoratori precari del settore petrolifero, un sindacato indipendente che ha contribuito a organizzare gli scioperi dello scorso anno tra gli stessi precari (questi lavoratori costituiscono la maggioranza dell'intera forza lavoro del settore petrolifero) (7), ha lanciato un chiaro avvertimento al governo: «Sosteniamo le lotte popolari contro la violenza organizzata e quotidiana contro le donne e contro la povertà e l'inferno che dominano la società», minacciando uno sciopero (8). E il 10 ottobre alcuni settori di Asalouyeh hanno già cominciato lo sciopero. L'8 ottobre i bazari (commercianti e negozianti poveri) hanno aderito allo sciopero in solidarietà con i manifestanti (9). Altri settori, come i lavoratori dei trasporti e dell'industria, potrebbero seguirli se il movimento continuerà e il regime aumenterà la sua repressione.

 

Il popolo vuole la caduta del regime

La rivolta delle giovani donne contro il governo Raisi non è casuale e non ha nulla a che fare con «ingerenze straniere», come sostiene il governo. È il risultato diretto di rancori accumulati, disperazione, insicurezza economica e della recente repressione dei diritti delle donne, che fa eco a quanto stiamo vedendo negli Stati Uniti.
Da quando è salito al potere nel 2021, Ebrahim Raisi, noto per aver supervisionato la tortura e l'esecuzione di massa di circa 5.000 membri di gruppi di opposizione iraniani (molti dei quali socialisti) nel 1988 (10), ha aumentato la natura repressiva del governo e non è riuscito a portare avanti alcuna ripresa economica. Raisi ha vinto un'elezione presidenziale fittizia con un'affluenza di appena il 40%, secondo le stesse stime del governo, in cui l'ayatollah Ali Khamenei, 82 anni, ha controllato accuratamente tutti i candidati. La sua missione, a suo dire, era quella di riportare l'ordine nel Paese dopo quasi 3 anni di continue proteste e scioperi, creare posti di lavoro, costruire case popolari e sconfiggere la corruzione.
Invece, a luglio di quest'anno ha stanziato ulteriori risorse per rafforzare l'apparato di sorveglianza e applicare più rigorosamente la legge sull'hijab obbligatorio. Ha promosso la «settimana della castità e dell’hijab» e ha introdotto nuove regole nell’ambito della rivitalizzata iniziativa per la promozione della virtù e la prevenzione del vizio, che era stata parzialmente messa da parte durante gli ultimi due mandati di Rouhani.
Il nuovo regolamento prevede «la sorveglianza delle impiegate degli enti pubblici e il licenziamento degli amministratori il cui personale non rispetta rigorosamente i codici dell'hijab» (11). Il governo di Raisi è ricorso alla sperimentazione dell'installazione di telecamere di sorveglianza negli spazi pubblici per controllare e multare le donne senza velo o indirizzarle affinché ricevano «consulenze» (12). Inoltre, ha stanziato un budget di 3,8 milioni di dollari per le Pattuglie di orientamento, o polizia morale, che hanno agito con maggiore violenza per controllare il codice di abbigliamento delle donne nelle strade (13). Come riporta Asia Times, da luglio «le scene di violenza scatenate dalla polizia morale che trascina, spinge e picchia le donne che violano le rigide linee guida della Repubblica Islamica sull'hijab, registrate furtivamente dai cittadini, sono circolate sui social media negli ultimi mesi, scatenando l'indignazione e il risentimento dell'opinione pubblica» (14).
Per questo, non sorprende che i cori contro il governo di Raisi e il regime stiano diventando sempre più popolari nelle strade. I manifestanti urlano «Morte al dittatore» e «Moriremo, moriremo, ma ci riprenderemo l'Iran» (15). Altri canti hanno preso di mira direttamente Khamenei, scandendo «Questo è l'anno in cui la casa di Sayyid Ali (Khamenei) sarà rovesciata» (16) e «Abbasso l'oppressore, sia esso lo Scià o il Capo», riferendosi alla Guida suprema Khamenei.
Ma non sono solo i manifestanti a prendere sempre più di mira il regime: uno dei pilastri ideologici dello Stato borghese iraniano, gli ayatollah, che ricoprono il ruolo di massimi chierici musulmani, stanno iniziando a mostrare qualche crepa, poiché la loro interpretazione della sharia non è omogenea. L'aumento delle proteste su questo tema potrebbe essere fonte di divisione tra gli ulema (eruditi religiosi), tra i chierici che sostengono il regime e quelli che lo criticano. Il Grand Ayatollah Asadollah Bayat-Zanjani, ad esempio, è stato l'unico ecclesiastico di alto livello a criticare apertamente la «polizia morale», che considera illegale e contraria all'Islam.
Sebbene la maggior parte del clero di Qoms sia rimasta in silenzio sulla protesta, la scorsa settimana un sacerdote anonimo della città santa ha detto al Middle East Eye che «la maggioranza nel seminario di Qom, o almeno una grande percentuale di sacerdoti, è sempre più contraria alla Repubblica Islamica, perché ha indebolito sia l'Islam che i chierici agli occhi della gente... Questo mentre molti chierici non hanno rapporti con l'"establishment" e si sono allontanati dalla sua politica, poiché non vogliono essere visti come parte della Repubblica Islamica. La gente però questo non lo sa, e credo che i chierici dovrebbero farsi sentire» (17).
Un'altra fonte di instabilità del regime è, ovviamente, la questione nazionale curda (tra le altre minoranze nazionali). Mahsa era una curda iraniana, dato che in Iran vivono 10 milioni di curdi (su una popolazione totale di 83 milioni). Le mobilitazioni nelle aree curde dell'Iran sono state forti e il governo ha incolpato i gruppi di opposizione curdi (insieme a Stati Uniti e Israele, ovviamente) di aver orchestrato le proteste e di aver lanciato missili contro la regione curda del vicino Iraq settentrionale (18.
La dinamica della lotta di liberazione nazionale del popolo curdo, che destabilizza i confini dell'Iran (e di molti altri Paesi della regione), potrebbe anche indebolire ulteriormente il regime. 

 

Anni di crescenti proteste contro il regime

Questa recente ondata di mobilitazione ha caratteristiche uniche, ed è sorta e alimentata dalla determinazione delle donne a difendere i propri diritti. Va tuttavia inserita in un contesto di quasi sette anni di mobilitazioni intermittenti in Iran.
Come ha sottolineato il nostro compagno Alborz «la parola d’ordine “Donne, vita, libertà” che ha invaso le strade del Paese negli ultimi giorni va di pari passo con “Pane, lavoro, libertà” che è emersa in Iran durante le precedenti rivolte a livello nazionale contro l'austerità e l'alto costo della vita, sia alla fine del 2017 che nel novembre 2019, quando l'aumento del prezzo del gas ha rapidamente scatenato le proteste antigovernative» (19).
Quest'ultimo periodo di proteste per rivendicazioni economiche è iniziato a Mashad ed è durato dal dicembre 2017 all'inizio del 2018, causando circa 30 morti e quasi 5.000 prigionieri politici. Le proteste sono state organizzate in risposta al piano di austerità di Rouhani «che ha tagliato i sussidi ai poveri e ha aumentato i prezzi del carburante del 50% tra le altre misure» (20). Questa prima ondata di proteste spontanee è stata seguita da un'ondata di scioperi dalla metà del 2018 al 2019 contro un nuovo aumento del prezzo del carburante. Ha ha portato in strada più di 200.000 persone e ha avuto aspetti insurrezionali, per cui «i manifestanti hanno danneggiato più di 50 stazioni di polizia, 731 banche e 70 stazioni di servizio nel Paese» (21).
Nel gennaio 2020 è scoppiata una nuova ondata di lotte, guidata dai conducenti di autobus e taxi a Teheran, dove nelle strade risuonavano canti anti-regime come «morte ai funzionari corrotti». A questo sciopero si sono aggiunti settori di lavoratori stagionali, industriali e dei servizi.
Lungi dall'essere il prodotto di istigatori stranieri, l'attuale rivolta delle masse iraniane è di origine nazionale, si basa su una serie di lotte crescenti e si pone contro la Repubblica Islamica. La lotta degli iraniani per la liberazione delle donne, la democrazia e l'uguaglianza economica è una lotta che deve essere sostenuta dai socialisti a livello internazionale.

 

La crisi economica dell'Iran e le sanzioni statunitensi

Oggi l'élite economica iraniana comprende sezioni dell'apparato militare e dell'intelligence che hanno acquisito ampi settori di varie industrie cedute nell'ambito delle privatizzazioni dello Stato negli ultimi decenni. Questa élite ha saccheggiato le ricchezze del popolo iraniano e ha giustamente acceso il risentimento della popolazione. Si preoccupa solo della propria ricchezza e dei propri interessi e lo stato si è rifiutato di tassare questo settore per mitigare le difficoltà economiche degli iraniani. Allo stesso tempo, gli Stati Uniti hanno imposto sanzioni all'Iran per perseguire gli interessi economici e politici delle proprie classi dirigenti ed imprenditoriali. Queste sanzioni sono da condannare; non hanno danneggiato il regime o l'élite economica iraniana, che non ha fatto altro che arricchirsi, ma hanno solo danneggiato gli iraniani comuni. 
Inoltre, l'oppressivo regime iraniano usa le sanzioni come scusa per distogliere l'attenzione dalle proprie responsabilità nella crisi economica e si è rifiutato di approvare politiche di redistribuzione, le quali avrebbero trasferito la ricchezza dall'alto per sostenere gli iraniani in difficoltà.
Le attuali mobilitazioni di massa si svolgono nel contesto di una crescente crisi economica in Iran. Secondo il Wall Street Journal, oggi in Iran il tasso di inflazione annuale è del 50%, la valuta (il rial) è ai minimi storici e «più di un terzo dell'Iran vive in povertà, rispetto al 20% del 2015, e la classe media si è ridotta a meno della metà del Paese» (22). Sebbene il reddito pro capite ristagni dal 2012, l'attuale crisi economica è stata innescata in ultima analisi, dall'imposizione di sanzioni da parte di Trump nel 2018, dopo che il governo statunitense si era ritirato dall'accordo nucleare del 2015 con Obama (23).
Le sanzioni economiche sono una forma di guerra economica e uno strumento utilizzato dai Paesi imperialisti per imporre la propria volontà con mezzi non militari (24). Hanno avuto un impatto drastico sul tenore di vita della classe operaia dei Paesi a cui sono rivolte. Nel caso dell'Iran, è stato molto chiaro. Nel 2015, prima delle sanzioni di Trump, il tasso di cambio tra il dollaro statunitense e il rial iraniano era di circa 1 a 110.000, mentre oggi è di 1 a 320.000. Le sanzioni hanno causato, tra l'altro, un'impennata dei tassi di inflazione. L'inflazione è stata più o meno stabile (dall’8 al 12%) tra il 2015 e il 2017, dopo l'accordo nucleare di Obama, ma è balzata al 30% subito dopo le sanzioni di Trump nel 2018. Da allora ha continuato a crescere costantemente, raggiungendo quest'anno il 50% (25). Certo, altri fattori hanno favorito l'impennata dell'inflazione, come la crisi della catena di approvvigionamento a seguito della pandemia di Covid, ma le sanzioni imperialiste hanno rapidamente eroso il potere d'acquisto e le condizioni di vita di tutti gli iraniani, in particolare dei lavoratori: «l'occupazione dei laureati è diminuita del 7% dopo le sanzioni e i salari dei lavoratori qualificati di sesso maschile di quasi il 20%» (26). Hanno anche aumentato il debito pubblico, che ora supera il 50% del Pil, provocando a loro volta tagli alla spesa pubblica e ai programmi sociali.
I manifestanti hanno assolutamente ragione ad accusare il regime iraniano per la cattiva gestione dell'economia, ma i lavoratori di tutto il mondo devono anche chiedere la fine immediata di tutte le sanzioni statunitensi contro l'Iran, in modo che il popolo iraniano possa prendere in mano la propria economia senza subire le prepotenze o gli ordini di una potenza imperialista straniera. La rivendicazione di eliminare tutte le sanzioni all'Iran è particolarmente importante oggi, poiché Biden le ha rilanciate come misura per «sostenere» il movimento e fare pressione sul regime. Lunedì 3 ottobre si è dichiarato «gravemente preoccupato per l’intensificarsi della repressione violenta contro i manifestanti pacifici in Iran che comprendono gli studenti e le donne, che reclamano l’uguaglianza dei loro diritti e la dignità umana di base» e ha annunciato che «gli Stati Uniti imporranno ulteriori costi agli autori di violenze contro i manifestanti pacifici. Continueremo a ritenere i funzionari iraniani responsabili e a sostenere il diritto degli iraniani a protestare liberamente» (27).
Non spetta al governo degli Stati Uniti, un governo imperialista con un record orribile di violazioni dei diritti umani e di rapporti con dittatori e regimi sanguinari, «ritenere i funzionari iraniani responsabili», né tanto meno continuare le politiche di sanzioni che sacrificano unicamente le condizioni di vita del proletariato iraniano. Crediamo che questo compito spetti al popolo iraniano che oggi si sta mobilitando per le strade, dobbiamo sviluppare il loro potere di influenzare il cambiamento in modo indipendente. La chiave del successo di questo movimento risieda nella formazione di una direzione indipendente della classe operaia in grado di organizzare questo crescente movimento di massa, di proporre un percorso di lotta che unisca le rivendicazioni dei giovani, delle donne, dei sindacati e del popolo curdo e di presentare un'alternativa al regime di Khamenei. I lavoratori di tutto il mondo devono sostenere queste proteste, partecipando alle manifestazioni di solidarietà per chiedere il rilascio di tutti i prigionieri politici, inviando sostegno materiale alle organizzazioni operaie in loco che stanno alimentando la lotta, e chiedendo la fine immediata delle sanzioni statunitensi.

 

Note

1) https://foreignpolicy.com/2022/09/29/iran-protest-hijab-mahsa-amini-raisi/

2) https://www.bbc.com/news/world-middle-east-63170486

3) https://foreignpolicy.com/2022/09/23/iran-hijab-protests-regime-reform-islamist-tehran-khamenei/

4) https://litci.org/en/iran-woman-life-freedom-protests-in-iran-for-gender-equality-and-social-justice/

5) https://www.juancole.com/2022/09/dishonoring-constitutional-revolution.html

6) https://www.aljazeera.com/news/2022/10/3/students-injured-after-security-forces-raid-iran-university

7) https://merip.org/2021/08/labor-organizing-on-the-rise-among-iranian-oil-workers/

8) https://www.rferl.org/a/iran-oil-workers-threaten-strike-crackdown-amini/32054705.html

9)https://www.wsj.com/articles/iran-protests-are-proving-a-durable-challenge-to-the-islamic-republic-11665319812

10) https://www.theatlantic.com/ideas/archive/2021/06/iran-president-raisi-biden/619252/

11)https://www.al-monitor.com/originals/2022/07/iranian-women-under-pressure-raisi-stiffens-hijab-mandate

12) https://www.rferl.org/a/iran-surveillance-cameras-identify-women-hijab-rules/32010957.html

13) https://www.rferl.org/a/iran-surveillance-cameras-identify-women-hijab-rules/32010957.html

14) https://asiatimes.com/2022/09/crisis-in-iran-raisis-hijab-hype-backfiring-badly/

15) https://www.reuters.com/world/middle-east/irans-nationwide-protests-pile-pressure-state-2022-09-28/

16)https://twitter.com/ThomasVLinge/status/1573385712040550400?ref_src=twsrc%5Etfw%7Ctwcamp%5Etweetembed%7Ctwterm%5E1573389516827930624%7Ctwgr%5Ebdacbc7c1e13bd4e06c03ed57c8d6fbeedbda489%7Ctwcon%5Es2_&ref_url=https%3A%2F%2F

17)www.middleeasteye.net%2Fnews%2Firan-mahsa-amini-protests-qom-clerics-silence-irehttps://www.middleeasteye.net/news/iran-mahsa-amini-protests-qom-clerics-silence-ire

18) https://www.reuters.com/world/middle-east/irans-nationwide-protests-pile-pressure-state-2022-09-28/

19) https://inthesetimes.com/article/iran-protest-gender-justice-mahsa-zhina-amini-union-labor

20) https://litci.org/en/changing-the-story-of-iranian-popular-resistance/

21) https://litci.org/en/will-the-iranian-mass-protests-stop/

22) https://www.wsj.com/articles/iran-protests-economy-sanctions-religious-police-11664891763

23) https://www.economist.com/leaders/2022/09/29/irans-tired-regime-is-living-on-borrowed-time

24) Sono stati uno strumento di dominazione imperialista fin dagli anni Trenta. Più recentemente sono diventati lo strumento principale dell'imperialismo statunitense nel periodo neoliberale per costringere altre nazioni ad accettare la sua visione dell'ordine mondiale. Come spiega lo storico Nicholas Mulder, gli Stati Uniti sono stati gli «utilizzatori più accaniti» delle sanzioni come arma negli ultimi tre decenni: «l'uso delle sanzioni è raddoppiato negli anni Novanta e Duemila rispetto al loro livello nel periodo 1950-1985; negli anni 2010 era nuovamente raddoppiato». Ciò ha a che fare con il ruolo dominante del dollaro nell'economia globale dagli anni Settanta, essendo «il mezzo più popolare per il commercio globale e l'emissione di debito» e con il dominio di Wall Street sulla finanza globale.

https://foreignpolicy.com/2022/01/30/us-sanctions-reliance-results/

25) https://www.wsj.com/articles/iran-protests-economy-sanctions-religious-police-11664891763

26) https://www.wsj.com/articles/iran-protests-economy-sanctions-religious-police-11664891763

27) https://www.aljazeera.com/news/2022/10/3/us-to-impose-additional-costs-on-iran-amid-protests-biden-says

 

 

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