Partito di Alternativa Comunista

ORGANIZZIAMO LA RISPOSTA OPERAIA ALLA CRISI CAPITALISTICA

ORGANIZZIAMO LA RISPOSTA OPERAIA ALLA CRISI CAPITALISTICA
 
SVILUPPIAMO LA PROSPETTIVA POLITICA DI UNA COSTITUENTE COMUNISTA
 
RAFFORZIAMO DA SUBITO IL PDAC,
CON UNA GRANDE CAMPAGNA DI TESSERAMENTO
 
ordine del giorno sulla fase politica approvato dal Consiglio Nazionale del Pdac (1-2 novembre 2008)

 
La crisi capitalistica mondiale investe il nostro Paese
La crisi capitalistica iniziata nell’agosto del 2007 ed esplosa nel settembre del 2008, con il fallimento o il crollo delle maggiori banche negli Stati Uniti d’America e dell’Unione Europea, si annuncia come una delle più profonde dalla grande crisi capitalistica del 1929. Anche perché a differenza delle crisi verificatesi nella decade del 1990 l’epicentro della odierna crisi capitalistica è negli Stati Uniti, il maggiore dei paesi imperialisti.
 
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Un fatto che di per sé moltiplica ed estende i suoi effetti all’intera economia mondiale, dal centro alla periferia capitalistica. La recessione iniziata negli Usa si è velocemente estesa al Giappone, mentre i principali Paesi europei, in particolare le maggiori economie di Francia, Germania, Italia e Spagna, sono entrate o entreranno in recessione.
I principali governi imperialisti sono intervenuti iniettando miliardi di dollari ed euro nelle banche e nell’economia; la Bce, la Fed e altre quattro banche centrali, con una azione coordinata senza precedenti, hanno abbassato i tassi d’interesse.
Il 12 ottobre i quindici paesi della zona euro hanno definito un piano di misure comuni che includono la ricapitalizzazione delle banche in difficoltà e la garanzia pubblica a tutti i prestiti interbancari. Ma questo non ha fermato la crisi, mentre la borsa registra la febbre ricorrente dei mercati in cui singoli picchi di euforia sono seguiti da ondate di depressione.
Le previsioni per l’Italia degli economisti del Fmi parlano di recessione per il 2009, in realtà la crisi capitalistica è già vigente sia nel settore bancario che manifatturiero. Tra i grandi gruppi bancari UniCredit è stata la prima banca italiana a subire nei primi dieci giorni di ottobre gli effetti della crisi finanziaria con un tonfo del 70% del titolo  situazione che ha portato all’ingresso dei fondi sovrani libici , ma nemmeno Intesa Sanpaolo e Monte dei Paschi sono immuni dal ciclone della crisi.
Nel manifatturiero la crisi capitalistica colpisce sia le grandi imprese che le medie e piccole imprese verso cui le banche stringono i cordoni della borsa.
Le imprese si liberano dei lavoratori precari alla scadenza del contratto e la cassa integrazione (ordinaria e straordinaria) nel periodo gennaio agosto è aumentata del 9% rispetto allo stesso periodo dell’anno precedente
La Fiat ha prima licenziato i lavoratori precari allo scadere del contratto e poi ha raddoppiato il periodo di cassa integrazione, la stessa operazione avviene alla Powertrain, Aprilia, Lxottica, Ilva ecc. Non c’è dubbio che dopo la cassa integrazione arriveranno gli esuberi. Nel contempo la Fiat chiede l’intervento statale e delle banche a sostegno del settore automobilistico. Questi propositi delle imprese sono stati al centro dell’incontro tra Abi (Associazione Bancaria Italiana) e Confindustria svoltosi a Milano il 17 ottobre. Nelle stesse ore i maggiori esponenti del governo italiano e del padronato predisponevano gli strumenti legislativi e contrattuali per scaricare gli effetti della crisi capitalistica sui lavoratori e le masse popolari.
 

Le politiche del governo Berlusconi ricadono sui lavoratori
Il governo Berlusconi ha potuto vincere grazie al fallimento di due anni di politiche antioperaie e antipopolari del governo Prodi sostenuto dalla cosiddetta sinistra radicale la quale, attraverso l'illusione di poter rendere permeabile quel governo alle istanze sociali più pressanti, ha decretato la sconfitta del suo disegno politico e la sua scomparsa dal Parlamento. La sfiducia, la demoralizzazione della classe lavoratrice e dei settori sociali più sfruttati, a cui hanno contribuito anche le forze sindacali concertative, hanno rappresentato il terreno su cui la propaganda del centrodestra ha potuto contare per vincere. Il governo Berlusconi, attento sul piano sociale a soddisfare istanze costruite ad arte, come il bisogno di sicurezza e di ordine (che generano forme di discriminazione come stanno a dimostrare i recenti episodi razzisti) sta mostrando un volto “decisionista” e nei fatti reazionario, mentre sul piano istituzionale tende a rafforzare la figura del premier e ad esautorare le istituzioni democraticoborghesi. Al di là di questa rappresentazione, utile ai partiti della sinistra liberale e riformista per giocare un ruolo di finta opposizione, il governo nella sostanza opera su un terreno già tracciato dal governo Prodi  non a caso i programmi elettorali dei due schieramenti erano molto simili  a dimostrazione che il quadro di crisi nazionale e internazionale del capitalismo richiede dai governi di centrodestra e di centrosinistra sostanzialmente le stesse ricette. In perfetta continuità con il governo precedente il faro della politica economica di questo governo è rappresentato dagli impegni assunti da Prodi in sede europea e cioè il pareggio di bilancio al 2011. Ecco allora la nuova manovra finanziaria triennale di 30-35 miliardi con tagli alla scuola e all'università, alla sanità e al pubblico impiego  blocco del turn over, ricorso alla mobilità, sospensione delle stabilizzazioni e disoccupazione per i precari  ; i rinnovi dei contratti pubblici saranno congelati per il 2008; e poi un piano per lo “sviluppo” con privatizzazioni, liberalizzazioni (servizi pubblici locali); nucleare; infrastrutture. Anche le politiche sociali sono basate essenzialmente sul taglio dei costi. La sanità sarà delegata ulteriormente alle regioni con il federalismo fiscale: gli ospedali potranno essere trasformati in s.p.a. o in fondazioni accelerando processi di privatizzazione. Si avranno tagli di 7 miliardi per il fondo sanitario delle regioni 2010-2011, di 250 milioni di euro per il fondo sociale, un taglio di 550 milioni di euro per il piano casa e di 350 milioni di euro per i trasporti.
L'altra faccia dei tagli alla spesa in nome della "stabilizzazione della finanza pubblica" è rappresentata dalla politica di incentivi allo sviluppo e alla crescita dell'economia.
La borghesia italiana, così come ha sostenuto lo scorso governo di centrosinistra, ottenendo peraltro notevoli vantaggi attraverso la detassazione delle imprese e la concertazione, oggi detta l’agenda al governo di centrodestra. Ed il governo sta così rispondendo: detassazione degli straordinari e delle parti variabili del salario; aumento dell'età pensionabile; massima flessibilità del mercato del lavoro attraverso licenziamenti, precarietà, e distruzione della contrattazione nazionale; aumento dell'età pensionabile; ulteriori detassazioni delle imprese; nuove rottamazioni dei settori auto ed elettrodomestici; creazione di nuovi spazi di mercato attraverso la privatizzazione dei servizi, le grandi infrastrutture e rilancio del nucleare; incentivi per gli obblighi delle industrie sulle emissioni di CO2; regalo di Alitalia alle imprese e infine, dopo lo scoppio della crisi finanziaria, la disponibilità a ricapitalizzare le banche.
Le previsioni del Fondo monetario internazionale per l’Italia indicano uno sviluppo del Pil per il 2008 di -0,1% e per il 2009 di -0,2%, quindi sotto-zero. Questo in una situazione in cui il debito pubblico già ammonta al 106% del Pil, debito che ovviamente subirà un notevole incremento (le previsioni parlano di un debito pubblico intorno al 125-130%) per effetto degli interventi pubblici per tamponare la crisi capitalistica (viene stimata una cifra di circa 200-250 miliardi di euro). Va da sé che il rapporto deficit/Pil supererà ampiamente il 3%, pertanto i tagli alla spesa pubblica saranno pesantissimi.
 

L’azione del padronato e della burocrazia sindacale
All’origine delle crisi capitalistiche c’è sempre la caduta del saggio medio di profitto. Per aumentare il saggio di profitto, le politiche della borghesia e dei suoi governi tendono a colpire il salario, nelle sue diverse forme: diretto, indiretto e differito, pagando meno e facendo lavorare di più i lavoratori.
Il metodo utilizzato da governo e padronato è quello di sempre: dividere gli immigrati dal resto della classe, i lavoratori del settore privato dai lavoratori pubblici, i lavoratori del commercio da quelli dell’industria. Nel contempo con sanzioni e licenziamenti vengono colpite le avanguardie di lotta e perfino i Rls, i Rappresentanti dei lavoratori per la sicurezza (Dante De Angelis alle FF.SS, Rossella Porticati alla Piaggio...).
In questo quadro si inserisce l’accordo separato del Commercio (firmato da Cisl e Uil) e la trattativa sul nuovo modello contrattuale tra Confindustria e Cgil, Cisl e Uil.
Questi ultimi si sono presentati al tavolo con un documento unitario di proposta di nuovo modello contrattuale non molto distante da quanto proposto da Confindustria il 12 settembre con un proprio documento. L’obiettivo degli industriali era quello di consolidare la riduzione del potere d’acquisto dei salari a partire dagli accordi di luglio ’92-’93 che diedero origine al modello sindacale concertativo, affermare la derogabilità in sede aziendale e territoriale delle condizioni minime stabilite nei contratti nazionali, sterilizzare il Contratto Collettivo Nazionale e finalizzarlo al “buon funzionamento dell'attività delle imprese”, e addirittura, sanzionare il dissenso e lo sciopero durante le vertenze sindacali. Un modello che trasforma la natura del sindacato in senso pienamente aziendalista e corporativo, in sintesi il modello Cisl. Un sindacato che rinuncia alla lotta e alla contrattazione ed assume la funzione di innocuo erogatore di servizi ai cittadini-lavoratori, congiuntamente agli industriali, negli enti bilaterali.
Il 10 ottobre veniva firmato da Confindustria e Cisl, Uil il documento, nei fatti un accordo separato, sulle “Linee Guida per la riforma della contrattazione collettiva”. A dispetto delle perplessità rilevate, la Cgil non ha rotto le trattative e continua a sedere al tavolo assieme alle altre organizzazioni padronali e al governo da cui ci si attende l’estensione delle Linee Guida a tutti i lavoratori, pubblici e privati. I contenuti delle Linee Guida confermano i propositi di Confindustria di sterilizzare il Contratto Collettivo Nazionale di Lavoro (CCNL) in riferimento al salario, ai diritti e alle tutele attraverso: 1) la durata triennale dei contratti sia per la parte economica che normativa; 2) la sostituzione del tasso di inflazione programmata con un nuovo indice previsionale costituito sulla base dell’IPCA (Indice dei prezzi al consumo armonizzato, elaborato da Eurostat per l’Italia) e depurato dalla dinamica dei prezzi dei beni energetici importati, un indice che sottostima volutamente l’inflazione reale; 3) l’introduzione di una tregua sindacale di sette mesi dalla presentazione della piattaforma; 4) l’estensione e il finanziamento degli enti bilaterali; 5) l’intervento del comitato interconfederale nei casi di crisi di negoziato, determinando così una grave perdita di autonomia delle categorie.
In riferimento al secondo livello di contrattazione, aziendale o alternativamente territoriale, permane l’attuale prassi, ossia la non cogenza, mentre vengono confermate tutte le misure di decontribuzione e detassazione degli aumenti salariali, peraltro collegati al raggiungimento degli obiettivi di produttività, redditività, competitività e andamento economico dell’impresa. Particolarmente grave è la possibilità in sede di contrattazione di secondo livello di “modificare, in tutto o in parte, singoli istituti economici e normativi del CCNL”, infine tutto il percorso vertenziale è ingabbiato all’interno di “sedi di conciliazioni”, “collegio di arbitrato” ed annessi sanzioni.
La vertenza Cai/Alitalia esemplifica l’attuazione delle Linee guida sul nuovo modello contrattuale ed evidenzia l’influenza del  Partito Democratico sulla burocrazia della Cgil.
Non meno grave è l’attacco da parte del governo per quanto riguarda il salario, i diritti e le tutele in ambito di Pubblico impiego.
Dopo l’approvazione della Finanziaria, il ministro della Funzione pubblica, Renato Brunetta, di concerto con il ministro dell’Economia, Giulio Tremonti, ha inviato all’Aran (Agenzia negoziale per il pubblico impiego) l’Atto di indirizzo per l’apertura della trattativa per il rinnovo del contratto dei dipendenti dei ministeri per il biennio economico 2008-2009 dove veniva formalizzata la decisione da parte dell’Esecutivo di anticipare, unilateralmente, a gennaio 2009, anche in assenza di accordo sui rinnovi, il 90% degli aumenti disposti dal governo sulla base dell’inflazione programmata stabilita nel Dpef e stanziati nella manovra finanziaria. In questo modo veniva dato un serio colpo alla contrattazione collettiva riducendola a contrattare appena il 10% degli aumenti salariali.
Come le Linee guida per l'industria anche la proposta di modifica del modello contrattuale, per unificare il settore pubblico con il privato (del tutto simile nei contenuti alle Linee Guida di Confindustria) presentata al tavolo del 23 ottobre 2008, ha avuto l’approvazione di Cisl, Uil e Ugl e il giudizio contrario di Cgil e Rdb Cub. Anche in questo caso la Cgil intendeva partecipare comunque al tavolo tecnico sul contratto del Pubblico impiego. In questa sede, il 30 ottobre, Cisl, Uil, Ugl, Confsal hanno firmano un protocollo di intesa che recepiva quanto proposto unilateralmente dal governo. Nel contempo, mentre Cisl e Uil ritiravano l’adesione agli scioperi del pubblico impiego programmati per novembre, la Cgil confermava gli scioperi.  
A questo si aggiunga il disegno di legge delega sul diritto di sciopero nel Pubblico impiego, proposto dal ministro del Welfare Maurizio Sacconi ed approvato dal Consiglio dei Ministri il 17 ottobre, non a caso il giorno dello sciopero generale proclamato da sindacalismo di base. Il ddl di Sacconi va a peggiorare la già restrittiva legge sul diritto di sciopero nel pubblico impiego (L. 146/1990 modificata dalla L. 83/2000) cancellando di fatto tale diritto attraverso un percorso ad ostacoli per arrivare allo....sciopero virtuale. In sintesi il ddl stabilisce: 1) l’obbligatorietà del referendum consultivo-preventivo in occasione di ogni sciopero; 2) la dichiarazione preventiva, con conseguente schedatura, di adesione allo sciopero stesso da parte del singolo lavoratore; 3) l’allungamento ulteriore del periodo di intervallo tra gli scioperi; 4) lo sciopero virtuale, per cui il lavoratore si reca al lavoro evidenziando il proprio stato di “agitazione” con un fazzoletto al braccio; 5) l’istituzione di una Commissione per le relazioni di lavoro con funzioni di natura arbitrale e conciliativa; 6) infine di affidare ai Prefetti l’applicazione delle sanzioni ai lavoratori, fatto che sintetizza la logica poliziesca che presiede l’operazione.
 

La crisi storica del riformismo
Il riformismo è, per sua natura, incapace di offrire risposte progressive ai bisogni delle classi subalterne, soprattutto in fase di crisi economica.
E' questa, in sostanza, la causa della crisi storica che si è abbattuta anche sul Prc e sul Pdci e che ha provocato il loro disastro elettorale, politico e organizzativo. Le "svolte a sinistra" impresse dai congressi estivi di quelli che ( per numero di aderenti e diffusione) restano comunque i due principali partiti della sinistra non sono altro che il tentativo di simulare -nelle condizioni date di forzata ricollocazione all'opposizione- un riavvicinamento ai lavoratori e alle loro esigenze. Si tratta di svolte finte: in quanto non è minimamente mutato l'orizzonte riformista e governista di entrambi i partiti. Tanto il Prc come il Pdci continuano a governare nelle regioni, nelle provincie, nei comuni di mezza Italia con il Pd e nuove alleanze saranno rilanciate anche nella prossima tornata amministrativa. Non solo: entrambi i partiti riformisti continuano a sostenere un programma riformista e quindi a non dare nessuna prospettiva di soluzione operaia alla crisi, non solo non offrono nemmeno una piattaforma vagamente classista su cui unificare le lotte (che pure certo non mancano) per lavorare alla costruzione della cacciata del governo Berlusconi: ma soprattutto, nelle intenzioni dei gruppi dirigenti, la collocazione all'opposizione è da intendersi solo come una parentesi mentre l'obiettivo resta quello -inevitabilmente, in assenza di una prospettiva di governo dei lavoratori- di ricostruire una futura alleanza di governo con la cosiddetta borghesia progressista e con il suo partito liberale di riferimento, il Pd. E' stato lo stesso Ferrero, nella recente assemblea nazionale di settembre, a riassumere efficacemente l'unica differenza reale (al di là dello scontro tra burocrazie per la sopravvivenza) che contrappone il suo "nuovo" Prc all'ala vendoliana: Vendola vuole riorientare il Pd "tirandolo per la giacchetta" (secondo la definizione di Bertinotti) mentre si tratta, secondo il neosegretario, di riorientare il Pd "sotto la pressione dei movimenti".
Insomma: una frazione della burocrazia ragiona nei termini di un "ritorno nei movimenti" da usare per meglio prendere la rincorsa di governo (per altro avendo appreso questa tecnica dall'attuale avversario Bertinotti); un'altra frazione, per usare la efficace espressione di Mussi, "ragiona in termini di governo anche se per ora è collocata all'opposizione" ed è sempre più l'appendice esterna del Pd. Ciò che non esclude per nulla la possibilità (che anzi si fa sempre più concreta) di una rottura tra le due ali. Il punto di verifica saranno le elezioni europee che potrebbero determinare sia una separazione sia nuove aggregazioni, o perlomeno accordi elettorali (resi indispensabili dalle soglie di sbarramento).
In definitiva, quindi, la politica perseguita dai riformisti- anche quando non sono al governo- resta una politica governista. Perché la collaborazione di classe è l'elemento senza cui il riformismo non esisterebbe e senza cui le burocrazie non potrebbero preservare i loro piccoli o grandi privilegi, strettamente legati a questa società e dunque all'illusione, che spargono a piene mani, che possa essere riformata e governata diversamente.
 

Il centrismo risucchiato dal riformismo
L'unico effetto della "svolta" di Ferrero è quello di aver messo in difficoltà tutti i progetti intermedi tra quello riformista e quello rivoluzionario, cioè i progetti che definiamo "centristi" (in quanto oscillano al centro tra le due prospettive).
Sinistra Critica, il gruppo di Turigliatto e F. D'Angeli, dopo aver rotto col Prc in nome di un dichiarato ritorno alla "Rifondazione di Genova", cioè alla fase "movimentista" del Prc collocato (forzatamente) all'opposizione, si trova oggi spiazzata. Già una parte di quest'area non se la era sentita di uscire da Rifondazione; è prevedibile che altre parti si sentano attratte dal ferrerismo che costituisce appunto un ritorno al bertinottismo (anche se contro Bertinotti), al partito "di movimento", anticamera di quello di governo. In ogni caso, la "sinistra anticapitalista" che Sc cerca di costruire in Italia, esattamente come il "nuovo partito anticapitalista" cui lavora la Lcr (cugina di Sc) in Francia, si caratterizza per un tentativo di raccogliere riformisti e "rivoluzionari" attorno a un programma inevitabilmente centrista, nel solco delle posizioni storiche del centrismo che hanno già fallito infinite volte nel secolo scorso, finendo col costituire, nel migliore dei casi, solo appendici "critiche" del riformismo.
Di un rientro nel "nuovo" Prc già parlano, apertamente, altri settori che erano usciti o per partecipare alla costruzione del Pcl ferrandiano o per dare vita a gruppi della galassia neostalinista. Tutti gruppi che speravano di poter svolgere un qualche ruolo entrando in forma organizzata nella "costituente comunista" di Diliberto ma che oggi devono fare i conti con lo svuotamento di quel progetto provocato dalla "svolta" di Ferrero.
Grande è anche la difficoltà del Pcl di Ferrando. Essendo questo un gruppo costruito sulla confusa sommatoria di opzioni differenti (nostalgici del Pci, fans di Chavez, ecc.), in cui l'unico collante è dato dalla centralità del Capo e da un confuso riferimento al "comunismo", il richiamo della "svolta a sinistra" già ora esercita una forte e comprensibile attrazione per la gran parte dei (peraltro scarsi) attivisti. La scarsa o nulla presenza ai cortei del 4 (antirazzista) e 17 ottobre (sciopero generale) sono un segnale chiaro, che si combina con il tentativo, ancora una volta, di riemergere con un approccio puramente volto a guadagnare un qualche spazio mass-mediatico (v. i grotteschi appelli a Berlusconi e Fini perché "prendano le distanze" dalla Mussolini; la partecipazione alle manifestazioni di Di Pietro e all'11 arcobalenista, giustamente inviso a tanti militanti del sindacalismo di base impegnati nello sciopero di pochi giorni dopo, ecc.). La mancata costruzione di questo gruppo -che pure ha goduto, per motivi contingenti, di uno spazio mediatico enorme- è la riprova ulteriore, laddove ce ne fosse stato bisogno, del fallimento di ogni ipotesi "lassa" di partito, di struttura di tipo "menscevico" che raccoglie senza distinzioni di ruoli, e dirige nell'assenza di una democrazia leninista, militanti, attivisti e simpatizzanti.
Entrambe le organizzazioni centriste si sono costruite investendo nelle elezioni come momento di verifica essenziale del loro esistere. Per questo le elezioni europee della prossima primavera costituiranno per tutti questi gruppi un ostacolo insormontabile. Con una Rifondazione che si presenterà di nuovo col proprio simbolo e sventolando un ritrovato "comunismo", le percentuali elettorali già modeste guadagnate da Pcl e Sc sono destinate a essere polverizzate.
 
 
La Costituente dei comunisti rivoluzionari, unica via
Svolte riformiste, insomma, non ce ne sono state. La vera svolta di cui c'è bisogno è comunista. Non solo nel nome ma nei fatti: il che significa ripartire dalla indipendenza di classe dalla borghesia e dai suoi governi - un punto di partenza di per sé non risolutivo ma certo indispensabile per costruire un partito d'avanguardia, di militanti inseriti nelle lotte.
E' per questi motivi che come Pdac abbiamo aderito e continuiamo a sostenere il progetto politico della "costituente dei comunisti rivoluzionari", promosso da un gruppo di attivisti politici e sindacali diversamente collocati, avviato con una petizione che nelle scorse settimane ha già raccolto una piccola ma significativa area. Lo facciamo con l'insieme delle nostre posizioni programmatiche e forti di un prezioso gruppo di militanti e quadri, in gran parte giovani e giovanissimi, che stanno crescendo nel Pdac (come abbiamo visto nel seminario di settembre) e nell'esperienza - unica - di costruzione di un partito su base internazionale, nella Lit.
Privi come siamo di presunzioni di autosufficienza, continueremo a sviluppare questa battaglia in ogni lotta, movimento, assemblea, sciopero, proponendo a tutti i militanti comunisti, ovunque oggi collocati, di partecipare alla costruzione di quel partito realmente comunista, internazionalista, rivoluzionario, cioè trotskista, che ancora non c'è. Interlocutori primi di questo progetto sono chiaramente i militanti dei partiti riformisti e centristi che, a differenze delle burocrazie o microburocrazie dirigenti, non hanno interessi di classe differenti da quelli di tutti i lavoratori.
Non è un percorso breve: sia perché ogni passo è contrastato dalla borghesia, sia perché dobbiamo fare i conti con gli ostacoli riformisti e centristi, cioè di gruppi che non costruiscono nulla di duraturo ma continuano a produrre danni.
 

Il Pdac come strumento per la costruzione di un più grande partito comunista
A differenza di tutte le organizzazioni centriste, il Pdac non ha mai sofferto di manie di autosufficienza o di grandezza e non ha quindi mai avuto la pretesa di essere, da solo, la risposta all'esigenza di costruire quel più grande e radicato partito comunista che possa risolvere la crisi storica di direzione del proletariato e, con essa, la crisi stessa dell'umanità che è dovuta al divario tra la maturità delle condizioni oggettive per la rivoluzione e l'immaturità delle condizioni soggettive.
Fin dalla nostra recente nascita (gennaio 2007) abbiamo concepito il Pdac come uno strumento nella prospettiva di costruzione di un nuovo partito rivoluzionario; ciò nel quadro della medesima battaglia condotta, sul piano internazionale, dalla Lit.
E' per questo motivo che da subito abbiamo dato il nostro pieno sostegno al progetto politico della "Costituente dei comunisti rivoluzionari, disponibili a contribuire a un processo di ricomposizione che veda protagonisti militanti e forze di diversa provenienza che, discutendo oggi da sulla base di un comune presupposto (l'indipendenza dalla borghesia e dai suoi governi) sviluppino una comune condivisione di un rinnovato programma dei rivoluzionari per l'oggi.
Sarà il nostro secondo congresso (nell'estate 2009) a fare un bilancio complessivo del percorso compiuto. Già ora possiamo però registrare i passi avanti compiuti in questi primi due anni. Alla diffusione territoriale del nostro partito si è accompagnato un irrobustimento delle nostre -certo ancora fragili e povere di risorse- strutture periferiche. Sulla base di principi chiari tanto in campo politico come organizzativo (essendo le due cose strettamente intrecciate), evitando scorciatoie che altri pensavano di aver trovato, abbiamo proseguito nel difficile lavoro di costruzione di un partito di militanti inseriti nelle lotte. Oggi vediamo i primissimi frutti di questo impegno. L'incoraggiante risultato quantitativo e qualitativo del seminario di settembre; l'ingresso nel partito, in queste settimane, di nuovi militanti, specialmente giovani e giovanissimi; la partecipazione visibile e riconoscibile in ogni lotta e manifestazione e sciopero di questo autunno delle nostre Sezioni, sono la migliore riprova che se la strada è ancora lunga, la direzione di marcia è quella giusta.
I passi avanti compiuti anche dalla Lit-Quarta Internazionale (e registrati al recente congresso mondiale) non possono che favorire, nello stretto intreccio della costruzione nazionale e internazionale (a partire dal comune lavoro in Europa delle Sezioni della Lit), l'ulteriore rafforzamento del Pdac.
 

I compiti della prossima fase
Il compito prioritario del Pdac nelle prossime settimane è quello di favorire in ogni modo possibile, a partire dalle proprie forze direttamente coinvolte, lo sviluppo delle lotte e della mobilitazioni di queste settimane contro il governo. A dare inizio all’autunno caldo sono stati i lavoratori immigrati che il 4 ottobre hanno dimostrato di voler alzare la testa contro le politiche razziste del governo; subito dopo il riuscito sciopero generale del sindacalismo di base del 17 ottobre contro il governo e Confindustria; quindi le straordinarie mobilitazioni della scuola e delle università contro le misure Gelmini-Tremonti-Brunetta.
Mentre le forze liberali (Pd) e riformiste (Prc, Pdci, Sd) vogliono ingabbiare in un referendum le mobilitazioni della scuola e dell’università, noi ci battiamo, dopo lo sciopero del 30 ottobre, per la mobilitazione ad oltranza fino al ritiro dei decreti Gelmini, per l'estensione del movimento, per la crescita di una sua autorganizzazione democratica su scala nazionale, per il collegamento tra questa nuova e straordinaria lotta con le altre lotte politiche e sindacali dei lavoratori e delle classi subalterne. E’ necessario costruire un fronte unico di lotta che superi la parzialità dei pur importanti scioperi di categoria  pubblico impiego articolato nei giorni 3,7,14 novembre, università il 14, commercio il 15, metalmeccanici il 12 dicembre  e sbocchi in uno sciopero generale prolungato. Uno sciopero generale e di massa che blocchi il Paese, cacci questo governo reazionario e confindustriale e costruisca nuovi rapporti di forza nella prospettiva di una alternativa di classe, cioè per un governo dei lavoratori, l'unico in grado di dare una risposta operaia tanto in termini immediati come generali ("espropriando gli espropriatori") alla devastante crisi del capitalismo.
Proseguiremo parallelamente il nostro impegno nel sostenere la prospettiva politica di una "costituente dei comunisti rivoluzionari" (che significa oggi intrecciare una discussione tra tutti coloro che condividono l'Appello "Mai più al governo con i padroni" con la comune attività di lotta) e l'impegno per un rafforzamento del Pdac, che di quella costituente vuole essere uno strumento di servizio. Utilizzeremo, nelle forme rese possibili dalle norme tecniche, anche le scadenze elettorali del 2009 (elezioni amministrative ed elezioni europee) come momenti -per noi sempre secondari rispetto alle lotte- per amplificare la visibilità del partito, cioè come tribune di propaganda, secondo la concezione leninista.
Ci dedicheremo, contemporaneamente, all'immersione nelle lotte, all'irrobustimento delle nostre strutture, dei nostri strumenti di stampa e diffusione (giornale, sito web, pubblicazioni) alla formazione teorica e politica dei nuovi compagni, al pieno coinvolgimento di tutto il partito nel dibattito e nell'attività della Lit. Centrale in questo processo di costruzione del partito sarà una grande campagna di tesseramento 2009 al Pdac che avvieremo dalle prossime settimane e che si rivolgerà in primo luogo ai simpatizzanti e ai tanti compagni che hanno finora solo collaborato esternamente con noi o hanno simpatizzato con le nostre posizioni, e in secondo luogo ai tanti compagni con cui stiamo costruendo le mobilitazioni in questo autunno, proponendo a tutti, laddove esista una condivisione del programma e una disponibilità militante, a impegnarsi da adesso a pieno titolo, dall'interno, con la tessera militante, alla costruzione del Pdac.
I prossimi mesi offriranno ai rivoluzionari uno spazio inedito di crescita e di costruzione di quel partito comunista, cioè rivoluzionario, dunque trotskista, di cui le masse popolari hanno sempre più urgentemente bisogno per dare una risposta di classe alla catastrofe umana provocata dal capitalismo.
 
 
(Ordine del giorno approvato all'unanimità nella riunione dell'1-2 novembre dal Consiglio Nazionale del Partito di Alternativa Comunista - sezione italiana della Lega Internazionale dei Lavoratori - Quarta Internazionale)

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