LE CONCLUSIONI DEL CONGRESSO
Intervento di Ricci di chiusura dei lavori congressuali
Abbiamo fatto un ottimo
congresso, proficuo, con interventi eccezionali e siamo tutti contenti. Ecco,
se uno non chiude così un congresso non gliene fanno chiudere più: sono le cose
di rito che sempre bisogna dire in questi casi.Il problema è che stavolta è
andata sul serio così. Certo forse noi siamo entusiasti perché siamo parziali,
c'è l'emozione di ogni congresso, i tre giorni e le tre notti di lavoro che
incidono. Ma questo giudizio (un congresso eccezionale) mi è stato formulato
stamattina da uno degli ospiti esterni presenti a questo congresso. Un compagno
che non sa nemmeno dove sta di casa la diplomazia. Per questo ho chiesto
proprio a lui un giudizio e mi ha risposto: "avete tanti giovani, parecchi
operai in gamba, un livello di dibattito che a me (che pure ho frequentato da
decenni assemblee e congressi) era fino a oggi sconosciuto, e poi un rapporto
non diplomatico ma reale con partiti da tutto il mondo". Ecco un giudizio
che mi sento di adottare: non perché è lusinghiero nei confronti dei militanti
di questo partito ma perché a chiunque è stato in questa sala in questi tre
giorni potremmo chiedere: ma dove lo trovi un dibattito così alto e libero,
animato da giovani, da militanti, da operai, con gli interventi di partiti da
tutta Europa e dall'America Latina? Da nessuna altra parte, appunto. E allora
concediamoci un po' di sano orgoglio di partito.
(applausi)
Noi non siamo di quelli (e
ce ne sono tanti, anche nell'estrema sinistra) che sono convinti di finire nei
libri di storia (quei libri che magari non leggono, o di cui leggono spesso
solo le quarte di copertina). In ogni caso, laddove i posteri dovessero
ricordarsi di noi, allora dovranno riservare nella nota a piè di pagina su di
noi anche una riga a questo Hotel. Perché qui abbiamo fatto il primo congresso,
ma anche quello di fondazione della struttura che ci ha preceduto e con cui
siamo usciti da Rifondazione (Pc Rol) e qui abbiamo avuto molti altri momenti
importanti. E siccome la storia della costruzione di un partito rivoluzionario
è fatta di eventi traumatici e anche di parecchie scissioni, in questo hotel ci
siamo presentati con molti nomi diversi. Tanto che adesso, il personale con cui
abbiamo un rapporto di amicizia, spesso esita prima di attribuire un nome alla
nostra organizzazione... Non si sa mai...Scherzi a parte, in realtà
c'è un'assemblea importante che non abbiamo fatto qui. L'assemblea di scissione
da Rifondazione Comunista, nell'aprile 2006. La tenemmo in un hotel di Roma, a
poche centinaia di metri dalla sala in cui si riuniva il Comitato Nazionale di
Rifondazione (da cui eravamo usciti numerosi, una quindicina, la più numerosa
delle tre scissioni di sinistra da quel Cpn). Nel Cpn di Rifondazione, a poche
centinaia di metri dalla nostra assemblea, si varava l'ennesimo episodio di
collaborazione di governo con la borghesia della storia del movimento operaio.
Non ho qui il tempo di parlare di quella vicenda che peraltro tante volte
abbiamo analizzato. Basti dire che se nulla c'era di nuovo nell'andare al
governo con la borghesia (nel nostro seminario dell'estate scorsa abbiamo
parlato non solo della nota esperienza dei socialisti francesi a metà
dell'Ottocento, criticata da Marx, ma persino di esperienze precedenti), se non
c'era, dicevo, nulla di nuovo in quella esperienza di tradimento di classe,
bisogna riconoscere che originali erano perlomeno le formule che la adornavano.
"Saremo un partito di lotta e di governo, in un governo di lotta e mediazione"
è una delle migliori che ci sono rimaste in mente. Anche se inferiore
all'epitaffio di quella esperienza e dell'intero progetto socialdemocratico
bertinottiano, epitaffio che coincide col titolo dell'ultimo libro del degno
discepolo di Bertinotti, Franco Giordano: Nessun dio ci salverà. Ecco, appunto,
così è andata a finire per loro.
(applausi)
Ma all'epoca, in quella
primavera 2006, le cose sembravano a tanti diverse. E dunque i matti eravamo
noi. Qualcuno ce lo diceva esplicitamente: ma come, ricoprite incarichi ai
massimi livelli di Rifondazione e proprio ora che arriva il bello ve ne
andate... Altri, più raffinati, la mettevano in termini politici: avete un bel
progetto, ci dicevano, ma non è adeguato alla modernità, non è pensabile
costruire oggi un partito di tipo bolscevico.E nei primi mesi della
nostra attività indipendente, fuori da Rifondazione, sembrava avessero ragione.
Molte erano a sinistra le illusioni sulla possibilità di cambiare qualcosa,
perlomeno entro certi termini. E quando alla nostra scissione seguirono quelle
di Pcl e poi di Sinistra Critica, noi che non eravamo stati coinvolti, a
differenza loro, in scandali giornalistici, non avevamo visibilità sui mass
media, e questo unito alla nostra carenza di mezzi (non avevamo avuto, a
differenza di Sc, rappresentanti in parlamento e nelle istituzioni per anni),
sembravamo la Cenerentola
delle tre organizzazioni a sinistra di Rifondazione.Questa premessa non la
faccio per concludere che poi invece siamo riusciti a costruire un partito
rivoluzionario, un partito bolscevico. No: noi non siamo matti e, appunto, ci
distinguiamo da altri anche perché non ci crediamo Napoleone (e non mettiamo la
mano di traverso sul panciotto). No: quel partito non lo abbiamo ancora
costruito, ne siamo ben consapevoli. Ma certo qualcosa abbiamo fatto, e non ci
pare poco.
Abbiamo gettato delle
fondamenta salde di un'organizzazione rivoluzionaria di militanti, non di
semplici iscritti passivi. Una organizzazione di quadri che hanno avuto in
questi anni un ruolo spesso dirigente in tante lotte importanti. Se una delle
tante differenze tra questo secondo Congresso e il Congresso fondativo sta
nell'ampia presenza di ospiti, rappresentanti di comitati operai, di comitati
immigrati, di comitati dei precari della scuola, di sindacati, ecc. , ciò è
dovuto al fatto che in questi tre anni abbiamo iniziato (solo iniziato) a
radicare il partito. E lo abbiamo fatto stando in tutte le lotte, standoci col
nostro programma.
Qualche giorno fa ho fatto
un giro sulla sezione foto del nostro sito e sono rimasto impressionato delle
iniziative a cui abbiamo partecipato, delle manifestazioni, dei cortei in cui
eravamo presenti e spesso con un ruolo dirigente, spesso con nostri compagni
che erano tra i relatori di chiusura di queste iniziative: contro le basi
militari, contro la guerra, contro le leggi razziste, contro i governi dell'uno
e dell'altro schieramento di alternanza, gli scioperi, i presidi...
E in questo percorso abbiamo
fatto anche delle piccole esperienze sul terreno elettorale, nazionale e
locale. Un terreno che non è quello privilegiato dei comunisti: e per questo
noi, a differenza di altri, non ne facciamo certo l'ambito principale della
nostra attività. Eppure è stato utile candidare la compagna Stefanoni alla
presidenza nelle elezioni politiche nazionali, perché questo ha dato a noi,
piccola forza, una visibilità che non avevamo avuto fino ad allora sui mass
media borghesi. Così pure i voti raccolti nelle elezioni amministrative (qualche
migliaio, con una media dello 0,5% così come è la media generale di tutte le
tre forze a sinistra di Rifondazione dove sono presenti, in genere una in
alternativa all'altra) non erano per noi l'obiettivo, ma ci hanno consentito,
con una campagna elettorale sulla base di un programma rivoluzionario, di
sfruttare i mezzi delle elezioni borghesi per farci conoscere a un numero
maggiore di lavoratori, di giovani.
In questo rapido bilancio
dei primi tre anni di attività, le voci all'attivo sono molte. Abbiamo il
giornale migliore dell'estrema sinistra: per generale ammissione di tutti.
Abbiamo il miglior sito a sinistra: l'unico in cui si pubblicano ogni mese
decine di articoli scritti da decine di militanti, non semplici proclami. Per
questo è anche il più visitato. E ancora: se si va a un'assemblea sindacale
nazionale, spesso siamo gli unici presenti, sicuramente gli unici che fanno una
battaglia politica. Insomma, per farla breve, la Cenerentola di cui
sopra è oggi riconosciuta negli ambiti di chi fa militanza a sinistra come una
delle forze presenti, probabilmente la più militante, nonché una di quelle con
più giovani. E allora possiamo permetterci di dire che non è davvero poco
quello che abbiamo fatto in questi tre anni.
(applausi)
Sono stati tre anni di rose
e fiori? No, già tanti compagni lo hanno detto nei loro interventi. Sono stati
tre anni in cui il Pdac è stato oggetto di polemiche e talvolta persino di
calunnie. Questo perché noi non interveniamo come diplomatici ma come militanti
rivoluzionari, e in generale non raccogliamo la simpatia dei burocrati. Abbiamo
avuto abbandoni, un certo turn over, anche una micro-scissione (a cui non era
estraneo qualche appetito sindacale, come abbiamo scoperto in seguito: appetiti
che facendo battaglia con noi era difficile coltivare).
Più in generale abbiamo
capito e provato sulla nostra pelle cosa vuol dire quella espressione
apparentemente romantica che parla di andare "contro venti e maree".
Abbiamo avuto anche dei lutti molto gravi che hanno colpito alcuni di noi e
quindi la nostra comunità in questi ultimi mesi e in modo davvero
violentissimo. Abbiamo avuto anche due lutti che ci hanno riguardato
direttamente come partito: due vicende simili perché hanno coinvolto due
compagni che non avevano ancora vent'anni, Paolo e Angelo, entrambi suicidi, entrambe
vittime di questa società oppressiva che spesso non lascia a un giovane nemmeno
la forza di continuare. Mi è parso giusto ricordare questi due compagni e
voglio aggiungere che continueremo la nostra lotta, la nostra battaglia anche
per loro!
(applausi)
In ogni caso, ne siamo
consapevoli, siamo terribilmente lontani dal nostro obiettivo: costruire un
partito rivoluzionario con influenza di massa. Ma nel fare un bilancio di
questi tre anni dobbiamo anche, altrettanto impietosamente di quando guardiamo
al nostro interno, guardare a dove sono finiti coloro che ridevano di questo
progetto, che ironizzavano sul nostro obiettivo.
Rifondazione, che abbiamo
lasciato nei giorni dei "lussi e ori" (e non solo metaforici), poi
passata da una scissione e dalla perdita del leader che la incarnava,
Bertinotti, ora la ritroviamo, dopo la breve stagione delle ritrovate bandiere
rosse, a elemosinare accordi per le regionali presso il Pd. Non solo: Ferrero,
col cappello in mano, bussa alla porta del Pd e esplicita nuovamente, gettando
la maschera, la propria assoluta disponibilità a nuovi futuri accordi di
governo anche nazionale. Al limite, almeno per una fase, rinunciando a occupare
dei ministeri ma comunque assicurando un sostegno leale alla maggioranza di un
governo imperialista. Esattamente come fu con il primo governo Prodi e come
(giova ricordarlo) Sinistra Critica proponeva (al congresso di Venezia del 2005)
che Rifondazione facesse anche col secondo governo Prodi: un sostegno "tecnico",
"esterno".
Oggi Rifondazione, che un
tempo è arrivata a vantare 150 mila iscritti e perlomeno 12 o 15 mila
attivisti, oggi vanta pubblicamente meno di un terzo di quegli iscritti e avrà,
secondo stime attendibili, al massimo 800 o 1000 attivisti (cioè comprendendo
non solo i militanti a tutti gli effetti ma anche chi presta una attività
saltuaria).
Con questo non diciamo certo
che il ruolo della socialdemocrazia governista è finito. Anzi. Basta leggere le
interviste di mezza pagina a Ferrero sulla grande stampa borghese per capire
che la borghesia nutre ancora qualche progetto su come utilizzare le burocrazie
riformiste, pensa di poterne avere ancora bisogno. E loro, i dirigenti
riformisti, si preparano per un futuro terzo governo (nella fase post-
Berlusconi) e per farlo iniziano a cancellare il passato e le gravissime
responsabilità del loro operato. Tanto per dire, ho trovato davvero incredibile
una pubblicità che Rifondazione fa in queste settimane su diversi settimanali:
sullo sfondo c'è una foto sorridente dell'ex ministro Ferrero, e la scritta
recita: "morti, disoccupati, precari. Perché la classe operaia è finita
all'inferno?".
Ecco, noi forse una risposta
sapremmo fornirla...
(applausi)
E i centristi, cioè quelle
due organizzazioni che come noi sono nate da scissioni di sinistra di
Rifondazione, e che noi definiamo "centristi", riprendendo una
vecchia espressione leninista, perché oscillano tra le posizioni rivoluzionarie
e quelle riformiste (in generale attardandosi di preferenza sulle seconde)?
Ci dicevano (e ci dicono) che
non bisognava costruire un partito di tipo bolscevico. Il Pcl prendeva (e
prende) come modello di riferimento quello opposto, il menscevismo, cioè la
costruzione di un partito lasso, non di soli militanti ma anche di iscritti
passivi, in cui si entra (qui, perché i menscevichi invece erano più rigorosi)
sulla base di una generica condivisione e soprattutto affidandosi al leader.
Sinistra Critica semplicemente rimuove la concezione di partito leninista.
Ci dicevano (e ci dicono)
che non bisogna costruire la Quarta Internazionale. Sinistra Critica
esplicitamente collocandosi ormai fuori persino dal Segretariato Unificato (la
formula che usano è che alcuni dirigenti mantengono un legame, ma Sc in quanto
tale non è sezione di quella autoproclamata "Quarta Internazionale").
Il Pcl ha aggiunto a un certo punto il riferimento alla Quarta sulle sue
bandiere e forse mantiene un legame con il gruppo di organizzazioni che si
chiama Crqi, ormai ridotto essenzialmente al Po di Altamira in Argentina. Dico
"forse" perché quel gruppo non fa praticamente nessuna attività, non
ha avuto nessuna crescita in questi anni, non produce nulla (a parte qualche
testo di critica del Pcl), e in ogni caso penso che diversi iscritti del Pcl
nemmeno sappiano della sua esistenza.
Ci dicevano (e ci dicono) che
non ha senso riferirsi in termini attuali al programma transitorio. Sinistra
Critica esplicitamente rifiuta un programma transitorio e nel suo ultimo
congresso teorizza la necessità di rialzare il programma riformista abbandonato
dai riformisti. Il Pcl ha sostituito il programma transitorio con un programma
in "quattro punti" e su quella base teorizza una costruzione del
partito in due tempi: prima un nucleo di dirigenti d'acciaio, con una base
inconsapevole; poi, un giorno, una base informata di cosa fa il nucleo
d'acciaio. I due tempi in effetti ci sono stati e li abbiamo visti, ma
assomigliano ai due tempi di un film del terrore. Nel primo tempo hanno perso
gran parte della base "inconsapevole", che ha prodotto quelle diecimila
posizioni differenti che si incontrano girando sui siti web delle sezioni del
Pcl. Poi, dopo un intervallo tra il primo e il secondo tempo in cui il nucleo
d'acciaio dirigente ha sfornato la linea dell'"antiparlamento" (salvo
cambiarne il nome dopo che qualcuno ha fatto notare lo sprezzante giudizio
storico dei trotskisti e di Trotsky su simili pasticci), infine ha perso pure
il nucleo d'acciaio. Non saprei come altro definire le davvero incredibili
dichiarazioni dei dirigenti del Pcl (cioè di Ferrando) di queste settimane: gli
appelli alla magistratura (la magistratura borghese! aggiungiamo noi) perché
chiami Bossi a testimoniare contro Berlusconi. E per chiarire che non si
trattava di interpretazioni sbagliate o di un equivoco, con un secondo
comunicato (intitolato "Insisto") si è ribadito il tutto, protestando
contro il fatto che un ministro (un ministro borghese! aggiungiamo noi) si
comportasse in quel modo. Una vera e propria deriva dipietrista, prodotta da un
progressivo adattamento a qualsiasi posizione che potesse fruttare visibilità
mediatica e voti (con le elezioni viste ormai non come un mezzo ma quasi come
uno degli scopi principali di quel partito).
Se parliamo di cosa fanno
gli altri, di come sono messi, non è per consolarci di noi stessi. Piuttosto perché
in questo quadro noi troviamo una conferma del fatto che se la via che abbiamo
preso, quella di cercare di costruire un partito di tipo bolscevico, è
terribilmente difficile e lunga, le scorciatoie che pensano di aver trovato gli
altri portano in un fosso. Cioè ai pasticci dei dirigenti centristi e agli
autentici tradimenti di classe dei dirigenti riformisti.
Siccome continuiamo a
difendere una prospettiva di questo tipo, spesso i dirigenti riformisti e
centristi ci definiscono "settari", incapaci di rapportarci con le
masse che sono arretrate, ecc. Lo hanno fatto anche di recente. A chi ci
definisce settari vorrei rispondere con un brano di un testo di Trotsky (una
polemica con Guérin del 1939): "Quando gli opportunisti invocano
l'immaturità delle masse, è in generale per mascherare la propria immaturità.
Le masse nel loro insieme non saranno mai mature nel capitalismo. Differenti
settori delle masse maturano in differenti momenti. La lotta per la maturazione
delle masse comincia da una minoranza, da quella che altri chiamano 'setta',
cioè da una ristretta avanguardia. Non vi è e non vi può essere altra via nella
storia."
E lasciatemi dire che se
questo lo scriveva un "settario" che aveva partecipato a costruire il
partito comunista con maggiore influenza di massa della storia, il partito
dell'Ottobre, allora non possiamo che essere onorati quando qualche dirigente
centrista (proprio pochi giorni fa) ci ha definito "una setta".
(applausi)
Altri, con maggiore
interesse per il confronto, non interessati semplicemente a bollarci
sprezzantemente, ci ripetono che il dramma della sinistra è la frammentazione,
che bisogna unire. In queste settimane abbiamo sentito ripetere spesso, specie
dai dirigenti di Rifondazione, una espressione impiegata da Ferrero: quella
relativa a una sinistra che non dovrebbe farsi bloccare dal "5% che ci
divide quando un 95% ci unisce". Nutrendo qualche interesse per la
matematica, ho qualche dubbio che il calcolo sia esatto. Nutrendo anche qualche
interesse per la dialettica, ho l'impressione che chi afferma questa cosa
confonda quantità e qualità. Davvero la differenza che abbiamo con i riformisti
sulla questione chiave della collaborazione di classe e di governo o
opposizione di classe intransigente, può stare dentro un 5%? O comporta un
salto di qualità (come ha sempre comportato) tra una posizione riformista e una
rivoluzionaria? E davvero le differenze tra noi e i centristi sul tipo di
partito da costruire (di militanti o di iscritti), sull'Internazionale
(costruirla, non costruirla, parlarne in termini vaghi), sul programma
(programma transitorio o in quattro punti o riformista), davvero tutte queste
cose stanno dentro un 5%?
Saremo settari ma noi
pensiamo di no. E pensiamo allora con Lenin che prima di unire e per poter
unire bisogna dividersi su linee programmatiche chiare. La polemica e la
battaglia politica contro il riformismo e contro il centrismo non sono una cosa
che facciamo per amor di polemica. Senza questa battaglia non sarà possibile
costruire una unità vera, dei lavoratori politicamente attivi, sulla base di un
programma comunista, in una prospettiva rivoluzionaria.
E se noi siamo in generale
(come ci viene detto) più polemici degli altri nei confronti degli altri
partiti è solo perché gli altri partiti si ignorano tra loro (o al più si
insultano o calunniano gli altri) perché ognuno tende a presentarsi come
autosufficiente, noi invece no. E' proprio perché siamo consapevoli della
nostra insufficienza di fronte al compito gigantesco di costruire un partito
rivoluzionario ora, è proprio perché pensiamo che non bastino le nostre forze,
che servono anche le forze migliori di tanti militanti onesti che oggi sono
ingabbiati nei partiti riformisti e centristi, è proprio per convincere
apertamente, lealmente, senza diplomazie, questi compagni che noi polemizziamo
politicamente con le altre organizzazioni.
Noi siamo convinti di non
avere i diritti d'autore, il copyright, sul progetto comunista, cioè sul
progetto del potere dei lavoratori, che passa per una opposizione di principio
ai governi della borghesia, per la costruzione dell'indipendenza di classe del
movimento operaio, per la conquista, con un programma transitorio, della
maggioranza politicamente attiva dei lavoratori al rovesciamento di questa
società, e che passa, infine, o meglio dal principio, per la costruzione di un
partito nazionale e internazionale che faccia tutto questo. Non è cosa nostra,
non riguarda solo noi: riguarda il futuro dell'umanità. E se oggi l'idea, in sé
semplicissima, che a governare il mondo sia la maggioranza, cioè il
proletariato, e non una minoranza, cioè un pugno di sfruttatori miliardari, se
oggi questa idea appare ai più come "utopistica" non è solo frutto
del potere della classe dominante, che fa di tutto per legittimare questo mondo
come l'unico possibile. E' anche grazie al ruolo dei dirigenti riformisti, che
questa società legittimano come orizzonte infinito. E' anche colpa dei
dirigenti centristi che ostacolano la costruzione di un partito rivoluzionario,
promettendo impossibili surrogati.
Questo progetto, il progetto
comunista, non è di facile realizzazione. Questo lo abbiamo capito, grazie. Ma
oggi come Pdac e come Lit diciamo che si pone in un contesto nuovo in cui gli
spazi per i rivoluzionari sono differenti, sono potenzialmente maggiori. La
crisi economica del capitalismo, di cui abbiamo parlato in questo congresso in
termini approfonditi, di cui ci ha parlato in termini scientifici il compagno
Iturbe, di cui analizziamo gli sviluppi nel testo economico, in poche parole
cosa comporta? I riformisti vedono solo gli aspetti negativi della crisi: la
distruzione del tessuto operaio, i colpi dati alla classe. Ma la crisi del
capitalismo non è solo questo. E' anche una scuola concentrata di capitalismo,
una scuola di massa. E' anche l'alimento di una più violenta contrapposizione
tra gli interessi inconciliabili delle classi. Per loro, per i riformisti,
tutto questo è negativo, perché ostacola il loro inserimento in quella che in
definitiva è la loro società, la società che li alimenta. Ma per i
rivoluzionari, che pure non vedono nessun processo meccanico, nessun
automatismo tra ciclo economico e ciclo della lotta di classe, la crisi del
capitalismo può trasformarsi in una importante occasione. Ed è in questo
contesto di crescita delle lotte in Europa e nel mondo, di risposta operaia
certo ancora inadeguata ma in crescita agli attacchi borghesi, è nello scenario
dei prossimi mesi che continueremo il nostro lavoro di costruzione del partito.
Abbiamo di fronte compiti
giganteschi e tanto, tantissimo lavoro. Un lavoro di radicamento ampio del
partito, di reclutamento, di formazione dei nuovi compagni, di formazione dei
militanti come quadri inseriti nelle lotte, un lavoro di estensione
territoriale nelle tante parti del Paese in cui ancora non ci siamo o siamo
troppo deboli. Un lavoro per migliorare il nostro lavoro, la nostra attività,
per renderla più efficace, usando meglio gli strumenti che abbiamo, il nostro
giornale in primo luogo. E potrei continuare a lungo, ma di questo abbiamo
parlato nel Congresso.
Però in questo lavoro
gigantesco non siamo soli. Non siamo soli perché già oggi dividiamo una parte
di questa lotta con altri compagni, nei movimenti, nei sindacati. Un compagno,
un ospite, è intervenuto da questa tribuna facendo un intervento molto
apprezzato. Ha poi concluso: lavoriamo bene insieme, continueremo a farlo se
non vorrete anche voi "mettere il cappello" su questa lotta. E ha
ragione. Ha ragione a denunciare quei partiti (lui parlava di Rifondazione) che
spesso nelle lotte ci sono stati e ci stanno per "mettere il
cappello", cioè per poi usarle strumentalmente per altri fini, magari per
prendere qualche voto in più alle elezioni. Ma noi no, possiamo assicurarlo a
questo compagno, noi nelle lotte ci stiamo per farle crescere. Ma proprio per
questo, altrettanto chiaramente diciamo che le lotte da sole non bastano.
Perché possano davvero rimanere indipendenti, cioè indipendenti dai nostri
avversari di classe, dalla borghesia, è necessario costruire tutti insieme quel
partito rivoluzionario che ancora non c'è, che il Pdac non pensa di essere ma
che è impegnato con tutte le sue forze a costruire! Per questo agli ospiti di
questo congresso, che sono intervenuti senza diplomazia, avanzando critiche e
facendo proposte, anche noi senza diplomazia diciamo: riflettete sul progetto
complessivo, riflettete su quanto abbiamo discusso qui tutti insieme. E pensate
anche alla possibilità di sviluppare realmente una battaglia comune, di
svilupparla in un comune partito. Noi vi proponiamo di costruirlo insieme
questo partito!
(applausi)
Ma non siamo soli in questo
compito anche perché lo condividiamo insieme ai militanti della Lit di tutto il
mondo. E allora voglio ringraziare i compagni delle sezioni della Lit che numerosissimi
hanno partecipato a questo congresso (applausi) e lo hanno fatto non per
portarci diplomatici saluti, ma per discutere insieme a noi della battaglia da
fare. Questa per noi è l'Internazionale (applausi). Unendo le debolezze e le
forze che le differenti sezioni della Lit hanno in tutto il mondo, in uno
"sviluppo diseguale e combinato", potremo procedere più rapidamente.
Per questo abbiamo qui votato un odg di sostegno alla candidatura di Zé Maria,
dirigente del Pstu, alle prossime elezioni brasiliane. Anche in questo caso
l'obiettivo non sono le elezioni in sé o la raccolta di voti. L'obiettivo è la
costruzione delle lotte e del partito. E per questo è di importanza
straordinaria per tutta l'Internazionale la presentazione, di fatto, di Zé
Maria come principale candidatura della sinistra di classe, della sinistra che
ha fatto opposizione al governo borghese di centrosinistra di Lula, della
sinistra delle lotte. Per questo cercheremo di organizzare in Europa delle
iniziative con Zé Maria durante questa campagna. Per questo la sosterremo con
la nostra militanza internazionalista! (applausi)
La nostra amica Longo (mi
permetto di chiamarla così perché, simpaticamente, ci ha dedicato almeno sei o
sette volte la sua gustosa rubrica su Repubblica) ha scritto venerdì un pezzo
dedicato a questo congresso e intitolato "L'anno dei rivoluzionari".
Noi vogliamo prendere sul serio quella espressione e faremo quanto è nelle
nostre non grandi possibilità perché il 2010 sia davvero l'anno dei
rivoluzionari. Cioè l'anno in cui sviluppare in tutto il mondo le lotte e
insieme ad esse la
Lega Internazionale dei Lavoratori, nella prospettiva della
costruzione della Quarta Internazionale.
Ma il 2010 sarà in ogni caso
l'anno dei rivoluzionari perché è l'anno del settantesimo anniversario di uno
dei più grandi rivoluzionari di tutti i tempi, Lev Trotsky. Abbiamo qui votato
un odg che impegna il partito a realizzare durante l'anno varie iniziative,
seminari, pubblicazioni per ricordare questo anniversario. E lo faremo non da
nostalgici, perché noi non abbiamo "santini" nelle tasche. Vogliamo
ricordare Trotsky (ed è probabile che saremo i soli a farlo in Italia) per
rivendicare la sua eredità, il patrimonio teorico e programmatico del
trotskismo, cioè del comunismo rivoluzionario odierno: e in questo senso è certo
che saremo gli unici a farlo.
Mi fa piacere allora
concludere questo discorso leggendovi un brano di Trotsky, un brano che mi è
capitato di leggere pochi giorni fa, un brano che Trotsky ha scritto poco prima
di essere ucciso, dopo aver visto morire la gran parte dei suoi familiari, dei
suoi figli, dopo aver visto uccidere (dallo stalinismo e dal fascismo)
centinaia di suoi compagni.
"Se la nostra
generazione si è rivelata incapace di realizzare il socialismo, lasciamo
tuttavia alle generazioni che seguiranno una bandiera pulita.
La lotta per il socialismo è
molto più importante di singole persone, frazioni, partiti. E' una lotta per il
futuro della specie umana. Sarà una lotta dura e gigantesca. Coloro che cercano
la tranquillità e le comodità è meglio che si separino da noi. In epoche come
questa, è certamente più comodo vivere da burocrati che da rivoluzionari. Ma a
coloro a cui il socialismo non suona come una parola vuota, a coloro per cui il
socialismo è l'obiettivo della vita, diciamo: avanti! Non saranno le minacce,
la repressione, le persecuzioni a fermarci. La rivoluzione vincerà!
Nonostante i colpi
implacabili del destino, mi sentirò soddisfatto come nei grandi giorni della
mia gioventù se solo avrò contribuito in qualche modo al trionfo della rivoluzione.
Perché la più grande
felicità per l'uomo non sta nelle piccole cose del presente ma nella
preparazione del futuro."
E allora, compagni e
compagne, viva Trotsky! Viva la
Lit! Viva la Quarta Internazionale! Viva la rivoluzione
socialista mondiale!
(appalusi e canto
dell'Internazionale)